Colleferro, 4 dicembre 1970.
Come cittadino italiano mi sento triste per la legge in sé stessa e per il modo come a essa si è giunti.
I parlamentari divorzisti hanno preteso di procurare un gran bene alla nazione, tanto grande da dover farlo precedere a ogni altra riforma e da dovervi consumare giorni e notti in aula. In realtà le hanno procurato un gran male. Al popolo che chiedeva a gran voce giustizia sociale, pulizia morale in alto e in basso, case, scuole, ospedali, lavoro, essi – senza che ne fossero minimamente richiesti – hanno regalato una legge divorzista che è, per giunta, una delle peggiori finora esistente nel mondo. Con questa legge, infatti, si incoraggia la leggerezza nel contrarre matrimonio; si legittima e si premia l’infedeltà coniugale; si lasciano, invece, indifese le vittime innocenti dell’egoismo e della passione, la moglie e i figli. In una parola, la saldezza e sanità della famiglia italiana – uno dei pochi beni che ancora ci rimaneva – è stato miseramente dilapidato dai nostri legislatori.
I divorzisti hanno presentato la nuova legge come una conquista di civiltà e di progresso, come un’affermazione di libertà personale. Parole vuote, anche se speciose per i semplici! È puerile credere o far credere che l’Italia sia passata dalla barbarie alla civiltà soltanto in data 1º dicembre 1970, alle ore cinque del mattino, per quei pochi voti di scarto con cui il provvedimento è stato varato. La vera civiltà si misura su ben altro metro che sulla facoltà giuridica di divorziare! Il vero progresso si costruisce con ben altro materiale che con la legalizzazione del matrimonio a tempo determinato! Non alla vera libertà della persona umana si è spalancata la porta, bensì al libertinaggio! Ce ne accorgeremo ben presto. È successo già altrove che i primi a piangere in casa propria sulle conseguenze del divorzio siano stati gli stessi legislatori che lo avevano approvato!
E a proposito del come si è giunti alla legge, debbo aggiungere che “il modo ancor mi offende!” (DANTE, La divina commedia, Inferno, 5, 102). Da parte dei parlamentari divorzisti nessun serio approfondimento del problema; nessun esame critico delle ragioni altrui (bene spesso gli antidivorzisti hanno parlato in un’aula deserta!); nessuna onesta valutazione delle conseguenze già esperimentate nei paesi divorzisti, dove, statistiche alla mano, risulta nel modo più lampante che il divorzio non uno solo dei mali cui ci si illudeva di ovviare ha guarito, ma molti altri nuovi ne ha procurati.
Insomma, non la ragione ha prevalso, ma il puntiglio politico, la forza bruta del numero e la suggestione del rispetto umano. Al Senato sarebbe bastata la presenza in aula di tutti gli antidivorzisti (soprattutto dei cosiddetti Democristiani, ndr.), al momento della votazione segreta, perché la legge non passasse. Il che significa che al Senato i divorzisti sono stati moralmente battuti nell’unico momento in cui ha funzionato la coscienza personale dei singoli senatori, al di sopra degli ordini di scuderia dei partiti. Ma purtroppo, una volta imposta dai partiti divorzisti, e supinamente accettata dagli altri, la votazione pubblica, il rispetto umano ha avuto il sopravvento, aiutato in extremis da taluni risibili emendamenti che nulla toglievano alla legge della sua intrinseca brutalità. E così, certi partiti che si strombazzano come i paladini della libertà di coscienza, l’hanno tolta ai loro parlamentari e, pur di raggiungere l’intento del divorzio, hanno preferito farne dei robots che pensano in una maniera e votano nell’opposta!
Non mi soffermo sui disonesti silenzi circa il divorzio durante le campagne elettorali, per non spaventare i propri simpatizzanti. Non voglio ricordare le affermazioni fatte pochi anni or sono da noti uomini politici, e oggi rimangiate allegramente. Voglio invece sottolineare, come indice di malcostume, le ibride alleanze che hanno partorito il divorzio. Non vengano i liberali a parlare di repubblica conciliare o di anticomunismo, essi che si sono legati in connubio coi comunisti per realizzare la repubblica divorzista, e hanno consentito che la legge sul divorzio passi alla storia con l’etichetta di un binomio liberal-marxista! E i marxisti di tutte le tinte non vengano a cianciare di anticapitalismo, essi che non hanno disdegnato, per il divorzio, i voti determinanti dei capitalisti! Coerenza e lealtà diventano merce sempre più rara sul mercato della vita politica!
Ai primi che, occorrendo, sanno appellarsi alle ragioni per cui essi “non possono non dirsi cristiani“; ai secondi che, quando gli fa comodo, salutano in Cristo “il primo socialista del mondo“, io pongo una semplice domanda: Come la mettete adesso col Cristo del Vangelo, il quale ha detto: “ L’uomo non separi quel che Dio ha congiunto … Chiunque rimanda la propria moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio in rapporto alla prima: e se una donna rimanda il proprio marito e ne sposa un altro, commette adulterio”? (Mc. 10, 9, 11-12; Mt. 19, 6, 9). Ve la sentite di accusare il Cristo del Vangelo come uno che, con l’indissolubilità coniugale, avrebbe comandato una cosa incivile e barbara, contraria al vero progresso del popolo?
Come cattolico, l’introduzione del divorzio in Italia mi addolora, anzitutto, per l’offesa pubblica recata a Dio e alla santissima legge, e poi per tutto quanto di ulteriore sfaldamento morale fatalmente ne seguirà.
Si è voluto umiliare la Chiesa cattolica nella sua dottrina e nella benefica funzione che essa, lo si voglia o no, ha esercitato nella storia del popolo italiano. Da tempo, si può dire da anni, il laicismo (la pretesa laicità, ndr.) e la massoneria, che lo ispira, attendevano la fatidica occasione. L’hanno finalmente trovata nel primo centenario della presa di Roma.
Non è ancora spenta l’eco dei discorsi ufficiali del 20 settembre scorso, quando si è detto che la celebrazione unitaria del centenario voleva essere il superamento di ogni steccato fra italiani, la fine di ogni guerra di religione. Ed ecco, invece, che una nuova breccia – altro che quella di Porta Pia! – una breccia insanabile nell’istituto vitale della famiglia è stata aperta col divorzio: una nuova guerra di religione è stata dichiarata dai divorzisti, che non potrà trovare mai una seconda conciliazione!
E, colmo di umiliazione per noi cattolici, tutto ciò accade con dei cattolici al governo (la cosiddetta Democrazia Cristiana, ndr.), anzi con dei cattolici diventati, da almeno venticinque anni, il perno insostituibile della vita politica democratica in Italia!
Bisogna onestamente dare atto ai nostri parlamentari che essi hanno parlato con scienza e coscienza encomiabili, a favore dell’indissolubilità del matrimonio. Ma una cosa rimane inspiegata, come mai essi, nonostante le molteplici occasioni offertesi in questi ultimi quattro anni, non abbiano adoperato l’unico mezzo veramente efficace, e onestissimo, per sbarrare il passo al divorzio: quello, cioè, di far sapere alla nazione, perché se ne traessero tutte le conseguenze, che i cattolici non sono disponibili, non possono essere disponibili per il governo della cosa pubblica quando gli eventuali compagni di viaggio domandano leggi che la loro coscienza ritiene dannose per il popolo e contrastanti coi principi morali e religiosi in cui essi credono.
Il peso di 13 milioni di elettori, che li hanno mandati in Parlamento proprio per la tutela di quei principi, doveva essere fatto valere nella sua giusta misura: anche e soprattutto in quelle circostanze, senza complessi di inferiorità e senza falsi timori di eventuali accuse di illiberalismo. La libertà dei divorzisti si sarebbe ben salvaguardata col mettere loro in mano lo strumento giuridico del referendum, mediante il quale essi, i divorzisti, se proprio ci tenevano al divorzio, avrebbero potuto interpellare il popolo sull’abolizione dell’articolo 149 del Codice Civile Italiano, statuente la indissolubilità del matrimonio (Codice Civile Italiano, art. 149. comma 1: “Il matrimonio non si scioglie che con la morte di uno dei coniugi”).
Invece, malauguratamente, le parti si sono invertite. Tutte le condizioni degli altri sono state accolte nella formazione dei vari governi: solo i cattolici non hanno posta e difesa la unica condizione che era ed è la ragione stessa del loro esistere di parlamentari cattolici. Perché non l’hanno fatto? Questo è l’interrogativo che nella sconfitta aggiunge amarezza all’amarezza. Il Signore non ci domanda di vincere, ma di combattere per la sua causa. Ma quando si soccombe anche solo col dubbio di aver trascurato pur uno dei mezzi onesti e utili, allora è il momento di fare il proprio esame di coscienza.
A un re francese del secolo XVI si attribuisce la frase: “Parigi val bene una Messa” (“Paris vaut bien une messe”: frase attribuita a Enrico IV). Speriamo che nel caso nostro risulti infondato il dubbio che i cattolici abbiano detto, a fatti se non a parole: “Un governo val bene il divorzio!“. Certo si è che fu escogitato l’espediente di distinguere tra un governo il quale, nonostante la maggioranza in esso dei cattolici, si dichiara neutrale su un argomento di tanta importanza come il divorzio, e una ibrida maggioranza parlamentare, antigovernativa per i 2/3 e governativa per l’altro terzo, che viene lasciata libera di adottare il divorzio e di violare il Concordato e poi, sul piano diplomatico, dal medesimo governo sedicente neutrale viene difesa e assolta per non aver commesso il fatto della violazione del Concordato! Un simile espediente non può tranquillizzare nessuno, perché esso rassomiglia troppo da vicino a quello di Ponzio Pilato, il pavido uomo politico che sacrificò l’innocente Gesù alla sua poltrona di governatore romano.
Con vero rammarico bisogna prendere atto che in molti cattolici italiani, dopo tale vicenda, anche se non soltanto a causa di essa, rimane gravemente scossa la fiducia nella capacità e volontà dei loro uomini politici di affermare i principii del Vangelo nella società, usando di tutti i mezzi onesti e possibili offerti dal regime democratico. Vedono con sgomento, questi cattolici, nella vicenda del divorzio il primo di una serie di altri possibili cedimenti, che il laicismo e la massoneria annunziano già come nuovi traguardi … di civiltà e di progresso: legalizzazione dell’aborto, denuncia del Concordato, abolizione dell’insegnamento religioso nelle scuole, sfratto dell’immagine del Crocifisso dalle aule, dai tribunali, dai pubblici uffici.
Come vescovo, ora che il fattaccio è purtroppo successo, devo tenere ai cattolici diocesani un discorso molto semplice:
a) Auspico e caldeggio l’iniziativa democratica dell’uso del referendum, che valga a far conoscere la vera volontà del popolo italiano circa il gravissimo problema del divorzio. Ormai questa è l’unica via legale capace di bloccare l’infausta legge, sia pure a distanza di un anno (Le macchinazioni di stampa corrotta, politici infedeli e dei modernisti protrassero i tempi del referendumi per svariati anni, con i risultati che tristemente conosciamo, ndr.). Ogni cattolico, pertanto, si farà un onore e un dovere di collaborare alla veloce riuscita dell’iniziativa. Anche coloro che, forse senza saperlo e volerlo, hanno favorito l’introduzione del divorzio in Italia votando per i partiti divorzisti, avranno l’occasione di riparare, in qualche modo, il male da essi già compiuto.
b) Nessun cattolico potrà mai in coscienza utilizzare la legge del divorzio per far sciogliere dalle autorità civili il proprio matrimonio religioso: neppure il coniuge incolpevole, tanto meno poi il coniuge colpevole, cui la nuova legge concede, in pratica, il ripudio della comparte innocente. “Bisogna ubbidire a Dio piuttosto che agli uomini” (Atti 5, 29), leggiamo nella Sacra Scrittura; e noi sappiamo bene che cosa comanda Dio circa l’indissolubilità del matrimonio. In ogni caso ci si ricorderà che Dio giudica le coscienze non in base alla legge civile italiana, ma in base alla legge incorruttibile del Vangelo. Il solo matrimonio valido tra cattolici è, e rimane anche dopo la legge divorzista, quello indissolubile celebrato di fronte alla Chiesa. Ogni altra unione, anche se consentita dalla legge civile, per la Chiesa non è né valida né lecita: sarebbe concubinato o adulterio. E quei cattolici i quali realizzassero tali unioni, si metterebbero essi stessi nella situazione di pubblici peccatori e, fino a che vi permangono, la Chiesa si vedrebbe costretta ad escluderli dai sacramenti e da altri riti sacri.
c) I fidanzati che domandano alla Chiesa il sacramento del matrimonio dovranno istruirsi, per riceverlo con maggiore serietà e consapevolezza: a tale scopo saranno aperti in diocesi degli appositi corsi di preparazione al matrimonio, con frequenza obbligatoria. Comunque, prima della celebrazione del matrimonio religioso, mediante una dichiarazione scritta, i nubendi dovranno espressamente escludere qualsiasi intenzione di voler in seguito usufruire della legge civile del divorzio. Una simile intenzione, infatti, invaliderebbe fin dall’inizio il sacramento, perché contraria a una delle proprietà essenziali del matrimonio.
Cari fedeli, la presenza di una legge civile divorzista costituirà da ora in poi una continua tentazione, un continuo invito al male per i cristiani d’Italia. Non ce n’era davvero bisogno; è già tanta la debolezza congenita dell’uomo; sono già tante oggi le occasioni peccaminose che gli rendono difficile la vita morale e religiosa. Ormai, soltanto in fede cosciente, illuminata e vissuta coerentemente, il cristiano potrà attingere la forza per superare la tentazione. È ciò che chiediamo, con umiltà e fiducia, alla misericordia del Signore, anche per l’intercessione della vergine martire che festeggiamo!
+ Luigi M. Carli, vescovo di Segni