Papa Pio XII nel Discorso ai giuristi cattolici del 6 dicembre 1953, meglio noto come Allocuzione «Ci riesce», fornisce una splendida docenza sulle differenze fra la lecita e cristiana tolleranza, e l’approvazione dell’errore. I cosiddetti “pensatori” moderni - ciò non mi stupisce affatto - hanno aborrito anche quest’ultima indefettibile e preziosa docenza, preferendo il perverso sistema filosofico da cui hanno origine l’ecumenismo (cfr. «Mortalium Animos») e la laicità (cfr. «Quas Primas»).
Il Pontefice afferma: «Per il giurista, l’uomo politico e lo Stato cattolico sorge qui il quesito: possono essi dare il consenso ad un simile regolamento (alla giuridica libertà d’esercizio delle varie credenze e pratiche etiche e religiose), quando si tratta di entrare nella Comunità dei popoli e di rimanervi?».
Ora «relativamente agl’interessi religiosi e morali si pone una duplice questione: 1) La prima concerne la verità oggettiva e l’obbligo della coscienza verso ciò che è oggettivamente vero e buono; 2) la seconda riguarda l’effettivo contegno della Comunità dei popoli verso il singolo Stato sovrano e di questo verso la Comunità dei popoli nelle cose della religione e della moralità». La prima «può difficilmente essere l’oggetto di una discussione e di un regolamento fra i singoli Stati e la loro Comunità, specialmente nel caso di una pluralità di confessioni religiose nella Comunità medesima». La seconda, invece, «può essere della massima importanza ed urgenza».
Il Papa enuncia «la via per rispondere rettamente alla seconda questione». Immediatamente «occorre affermare chiaramente che nessuna autorità umana, nessuno Stato, nessuna Comunità di Stati, qualunque sia il loro carattere religioso, possono dare un mandato positivo o una positiva autorizzazione d’insegnare o di fare ciò che sarebbe contrario alla verità religiosa o al bene morale. Un mandato o una autorizzazione di questo genere non avrebbero forza obbligatoria e resterebbero inefficaci». Nessuna autorità potrebbe darli, perchè «è contro natura di obbligare lo spirito e la volontà dell’uomo all’errore ed al male o a considerare l’uno e l’altro come indifferenti».
Pio XII aggiunge: «Neppure Dio potrebbe dare un tale positivo mandato o una tale positiva autorizzazione, perchè sarebbero in contraddizione con la Sua assoluta veridicità e santità».
Un’altra questione essenzialmente diversa è: «Se in una comunità di Stati possa, almeno in determinate circostanze, essere stabilita la norma che il libero esercizio di una credenza e di una prassi religiosa o morale, le quali hanno valore in uno degli Stati-membri, non sia impedito nell’intero territorio della Comunità per mezzo di leggi o provvedimenti coercitivi statali». In altri termini: «Si chiede se il “non impedire”, ossia il tollerare, sia in quelle circostanze permesso, e perciò la positiva repressione non sia sempre un dovere».
Pio XII si domanda: «Noi abbiamo or ora addotta l’autorità di Dio. Può Dio, sebbene sarebbe a Lui possibile e facile di reprimere l’errore e la deviazione morale, in alcuni casi scegliere il “non impedire”, senza venire in contraddizione con la Sua infinita perfezione? Può darsi che in determinate circostanze Egli non dia agli uomini nessun mandato, non imponga nessun dovere, non dia perfino nessun diritto d’impedire e di reprimere ciò che è erroneo e falso?».
Risponde: «Uno sguardo alla realtà dà una risposta affermativa. Essa mostra che l’errore e il peccato si trovano nel mondo in ampia misura. Iddio li riprova; eppure li lascia esistere. Quindi l’affermazione: “Il traviamento religioso e morale deve essere sempre impedito, quando è possibile, perchè la sua tolleranza è in sè stessa immorale” - non può valere nella sua incondizionata assolutezza. D’altra parte, Dio non ha dato nemmeno all’autorità umana un siffatto precetto assoluto e universale, né nel campo della fede né in quello della morale. Non conoscono un tale precetto né la comune convinzione degli uomini, né la coscienza cristiana, né le fonti della rivelazione, né la prassi della Chiesa. Per omettere qui altri testi della Sacra Scrittura che si riferiscono a questo argomento, Cristo nella parabola della zizzania diede il seguente ammonimento: “Lasciate che nel campo del mondo la zizzania cresca insieme al buon seme a causa del frumento” (cfr. Matth., 13, 24-30)».
Dunque: «Il dovere di reprimere le deviazioni morali e religiose non può quindi essere una ultima norma di azione. Esso deve essere subordinato a più alte e più generali norme, le quali in alcune circostanze permettono, ed anzi fanno forse apparire come il partito migliore il non impedire l’errore, per promuovere un bene maggiore». Con questo «sono chiariti i due principii, dai quali bisogna ricavare nei casi concreti la risposta alla gravissima questione circa l’atteggiamento del giurista, dell’uomo politico e dello Stato sovrano cattolico riguardo ad una formula di tolleranza religiosa e morale del contenuto sopra indicato, da prendersi in considerazione per la Comunità degli Stati».
Il Pontefice enuncia, così, la sentenza inappellabile: «Primo: ciò che non risponde alla verità e alla norma morale, non ha oggettivamente alcun diritto né all’esistenza, né alla propaganda, né all’azione. Secondo: il non impedirlo per mezzo di leggi statali e di disposizioni coercitive può nondimeno essere giustificato nell’interesse di un bene superiore e più vasto».
Carlo Di Pietro da Il Roma