Insegna Papa Pio XII alle A.C.L.I. (Lavoratori Cristiani) il giorno 11.03.1945: «È giunto ormai il tempo di pensare con la Quadragesimo anno ad un nuovo ordinamento delle forze produttive del popolo. (…) Sappiano gli uomini vedere e riconoscere quella più alta unità la quale lega fra loro tutti quelli che collaborano alla produzione, vale a dire il loro collegamento e la loro solidarietà nel dovere che hanno di provvedere insieme stabilmente al bene comune ed ai bisogni di tutta la comunità. Che questa solidarietà si estenda ad ogni ramo della produzione, che divenga il fondamento di un miglior ordine economico, di una sana e giusta autonomia, ed apra alle classi lavoratrici il cammino per acquistare onestamente la loro parte di responsabilità nella condotta dell’economia nazionale! In tal guisa, grazie a questa armoniosa coordinazione e cooperazione, a questa più intima unione del lavoro con gli altri fattori della vita economica, il lavoratore arriverà a trovare nella sua attività il guadagno tranquillo e sufficiente per il sostentamento della famiglia, una vera soddisfazione del suo spirito ed un potente stimolo verso il suo perfezionamento».
Attenzione, il Papa non sta affatto proclamando il dannato Socialismo, sta solo esortando datori e prestatori di lavoro ad un particolare esercizio delle virtù, necessario alla luce dei conflitti di classe infiammati «dai nemici di Cristo, che mettono a profitto tutte le difficoltà e le questioni della vita operaia, per guadagnare l’anima del lavoratore cristiano, per traviare la sua coscienza e finalmente distaccarlo e allontanarlo dal Salvatore divino» (Ivi.).
Il Pontefice, ai Datori di lavoro e prestatori d’opera, il 24.01.1946, dice: «Abbiamo già avuto occasione di esporre come al disopra della distinzione tra datori e prestatori di lavoro sia quella più alta unità, che lega tra loro quelli che collaborano alla produzione. Questa unità deve essere il fondamento del futuro ordine sociale. (…) Il collegamento e la solidarietà dei datori e prestatori di lavoro per provvedere insieme al bene comune dell’intera comunità».
Il 7.05.1949 Papa Pio XII si rivolge alle Associazioni Patronali Cattoliche: «Di questa comunanza di interesse e di responsabilità nell’opera dell’economia nazionale (…) Pio XI suggerì la formula concreta ed opportuna (…) l’organizzazione professionale nei vari rami della produzione. Nulla infatti gli sembrava più adatto a vincere il liberalesimo economico quanto la formulazione per l’economia sociale di uno statuto di diritto pubblico basato appunto sulla comunanza di responsabilità fra tutti coloro che partecipano alla produzione. Questo tratto dell’Enciclica fu oggetto di una levata di scudi: (…) sarebbe stato più saggio mettersi con fede e con cuore ad attuare quel principio e le sue molteplici applicazioni pratiche».
Nello stesso luogo il Pontefice opportunamente precisa: «Non si sarebbe nel vero se si volesse affermare che ogni impresa particolare è di natura sua una società, sì che le relazioni di coloro che ne fanno parte vi siano determinate dalle norme della giustizia distributiva, di maniera che tutti indistintamente, proprietarii o non dei mezzi di produzione, avrebbero diritto alla loro parte della proprietà o almeno degli utili della impresa. Una siffatta asserzione parte dall’ipotesi che ogni impresa rientri per natura sua nella sfera del diritto pubblico. Ipotesi inesatta: sia che l’impresa sia costituita sotto forma di fondazione o di associazione di tutti gli operai come comproprietarii, oppure che essa sia proprietà privata di un individuo che firma con i suoi operai un contratto di lavoro, nell’un caso come nell’altro rientra nell’ordine giuridico privato della vita economica». Cfr. Dizionarietto di Dottrina politica dei Papi (Ed. L’alleanza italiana, 1960, Vol. 1, pag. 141 segg.).
Nel Messaggio per il 50° della «Rerum Novarum», Pentecoste dell’anno 1941, Papa Pio XII dice: «La Rerum Novarum insegna che due sono le proprietà del lavoro umano: esso è personale ed è necessario. È personale perché si compie con l’esercizio delle particolari forze dell’uomo; è necessario perché senza di esso non si può procurare ciò che è indispensabile alla vita, mantenere la quale è un dovere naturale, grave, individuale. Al dovere personale del lavoro imposto dalla natura corrisponde e consegue il diritto naturale di ciascun individuo a fare del lavoro il mezzo per provvedere alla vita propria e dei figli: tanto altamente è ordinato per la conservazione dell’uomo l’impero della natura».
E nel Messaggio natalizio del 1942 asserisce: «Chi vuole che la stella della pace spunti e resti sulla società, dia al lavoro il posto da Dio assegnatogli fin dal principio. Come mezzo indispensabile al dominio del mondo, voluto da Dio per la Sua gloria, ogni lavoro possiede una dignità inalienabile, e in pari tempo un intimo legame col perfezionamento della persona; nobile dignità e prerogativa del lavoro cui in verun modo non avviliscono la fatica e il suo peso, che sono da sopportarsi come effetto del peccato, in ubbidienza e sommissione alla volontà di Dio».
Conclusione: Il datore si preoccupi di procurare un lavoro onesto e retribuito secondo giustizia, il prestatore si sforzi, a sua volta, di faticare con zelo e grande responsabilità, sull’esempio di San Giuseppe!
Carlo Di Pietro da Il Roma