Papa Pio XII nel Radiomessaggio di Natale (anno 1954) analizza anche la questione della coesistenza nella verità. Leggiamo con attenzione quanto insegna il Sommo Pontefice. Cito: Si è accresciuta la schiera di coloro che si ribellano all’idea di doversi contentare della mera coesistenza, rinunziando a rapporti più vitali con l’altro gruppo, e di essere costretti a vivere tutti i giorni della loro esistenza in un’aura di snervante timore. Sono così tornati a considerare il problema della pace e della guerra come un fatto di responsabilità superiore e cristiana dinanzi a Dio ed alla legge morale.
Certamente anche in questo mutato modo di considerare il problema entra l’elemento «timore», come freno alla guerra e stimolo alla pace; ma si tratta del timore salutare di Dio, garante e vindice dell’ordine morale, e quindi, come insegna il Salmista, del principio di sapienza. Trasportato il problema su questo piano più elevato e unicamente degno delle creature razionali, è riapparsa netta l’assurdità della dottrina che ha imperato nelle scuole politiche degli ultimi decenni: essere, cioè, la guerra una delle tante forme ammesse dell’azione politica, lo sbocco necessario, quasi naturale, degli insanabili dissensi tra due paesi; essere quindi la guerra un fatto estraneo a qualsiasi responsabilità morale.
Assurdo ed inammissibile è apparso parimenti il principio, anche questo per lungo tempo accettato, secondo il quale il governante, che dichiara una guerra, sarebbe soltanto soggetto ad incorrere in un errore politico, se questa sarà perduta; ma non potrebbe in nessun caso esser accusato di colpa morale e di delitto, non avendo, potendolo, conservato la pace. Prosegue il Papa: Appunto questa concezione assurda ed immorale della guerra rese vani, nelle settimane fatali del 1939, i Nostri sforzi, tendenti a sorreggere in ambedue le parti la volontà di continuare a trattare. La guerra fu allora considerata come un dado, da giuocare con maggiore o minore cautela e destrezza, non un fatto morale che impegnava la coscienza e le superiori responsabilità. Occorsero le immense distese di tombe e di rovine, perché si rivelasse il vero volto della guerra: non un gioco più o meno fortunato tra interessi; ma la tragedia, più spirituale che materiale, di milioni di uomini; non il rischio di qualche bene, ma la perdita di tutto: un fatto di enorme gravità.
Afferma ancora: Com’è possibile - si domandarono allora molti con la semplicità e la verità del buon senso - che, mentre ciascuno sente urgere in sé la responsabilità morale dei propri atti più ordinari, l’orrido fatto della guerra, che pure è frutto di libera determinazione in qualcuno, possa sottrarsi al dominio della coscienza, né vi sia un Giudice, cui le innocenti vittime abbiano accesso? In quel nascente clima di rinsavimento popolare, il Nostro grido «guerra alla guerra», col quale, nel 1944, dichiarammo la lotta al puro formalismo dell’azione politica e alle dottrine della guerra che non tengono conto di Dio, né dei Suoi comandamenti, trovò larghi consensi.
Quel salutare rinsavimento, non che dileguarsi, si è maggiormente approfondito ed esteso negli anni della guerra fredda, forse perché la prolungata esperienza ha messo anche più in risalto l’assurdità di una vita controllata dal timore. In tal modo la pace fredda, con le stesse sue incoerenze e coi suoi disagi, mostra di muovere i primi passi verso un ordine morale autentico e verso il riconoscimento dell’alta dottrina della Chiesa sulla guerra giusta ed ingiusta, sulla liceità e la illiceità del ricorso alle armi.
Continua: Vi giungerà certamente, se dall’una e dall’altra parte si ritornerà con animo sincero, quasi religioso, a considerare la guerra come oggetto dell’ordine morale, la cui violazione costituisce realmente una colpa che non resta impunita. Vi giungerà, se, in concreto, gli uomini politici, prima di vagliare i vantaggi ed i rischi delle loro determinazioni, si riconosceranno personalmente soggetti alle eterne leggi morali, e tratteranno il problema della guerra come una questione di coscienza dinanzi a Dio. Non vi è altro mezzo, nelle presenti condizioni, per liberare il mondo dall’incubo angoscioso, se non ricorrendo al timore di Dio, che non avvilisce chi in sé lo accoglie; lo preserva anzi dall’infamia dell’immane crimine, che è la guerra non imposta.
E chi potrebbe meravigliarsi se la pace e la guerra risultano in tal modo strettamente connesse con la verità religiosa? Tutta la realtà è di Dio: proprio nel distaccare la realtà dal suo principio e fine consiste la radice di ogni male. Di qui risulta anche evidente che uno sforzo o una propaganda pacifista che provenisse da chi nega ogni fede in Dio, è sempre molto dubbia, incapace di attenuare od eliminare l’angoscioso senso di timore, se pure non sia condotta ad arte come espediente per provocare un effetto tattico di eccitamento e di confusione. La presente coesistenza nel timore ha così solo due prospettive dinanzi a sé: o si innalzerà a coesistenza nel timore di Dio, e poi a convivenza di pace vera, ispirata e vegliata dal suo ordine morale; ovvero si contrarrà sempre di più in una glaciale paralisi della vita internazionale, i cui gravi pericoli sono già fin da ora prevedibili. Prosegue …
Cfr. Dizionarietto di Dottrina politica dei Papi (Ed. L’alleanza italiana, 1960, Vol. 1, pag. 134 segg.).
Carlo Di Pietro da Il Roma