Dopo la pausa natalizia e due brevi parentesi dedicate rispettivamente alla «Tassazione iniqua» ed al cosiddetto «Testamento biologico», torniamo ad analizzare il Programma del Centro Politico Italiano nell’intenzione di stimolare gli uomini di responsabilità all’esercizio del buon governo. «Buona politica», slogan così abusato dai demagoghi contemporanei: in realtà significa, come vuole san Tommaso d’Aquino, la ricerca, da parte dei governanti e con mezzi leciti, del bene del popolo a loro soggetto. Asserisce il sommo Dottore nel De Regimine Principum (Lib. I, Cap. 1): «Se, dunque, una moltitudine di uomini liberi è ordinata dal reggitore per il bene comune della moltitudine, il governo sarà retto e giusto, quale conviene a uomini liberi. Se invece il governo è ordinato non al bene comune ma al bene privato del reggitore (e dei gruppi di potere che lo sostengono, ndR), sarà ingiusto e perverso, onde anche il Signore minaccia tali governanti (cf. Ex. XXXIV, 2): Guai ai pastori d’Israele, che pascono se stessi!».
Il compianto giurista Carlo F. D’Agostino, ideologo del C.P.I., al § 13 (i precedenti 12 punti li abbiamo analizzati lo scorso anno) dei Princìpi Direttivi scrive: «La legittimità di una determinata forma di governo dipende da circostanze storiche e non è connessa a pregiudiziali teoriche. Pertanto nell’ordine speculativo il Centro Politico Italiano è alieno da pregiudiziali (…) contro qualsiasi forma di governo legittimo, pur affermando nettamente di preferire per l’attuale momento storico italiano una forma di governo in cui collaborino uno stabile e ben organizzato Potere centrale (di tipo) monarchico ed una Camera elettiva che sia genuina espressione di libera (non di liberale, ndR) e consapevole volontà di popolo. Il C.P.I. (…) riafferma che, qualunque sia la derivazione umana dei loro poteri, i governanti dei popoli debbono sentire nell’intimo della propria coscienza le responsabilità che li espongono al giudizio di Dio e della storia. Né può concepirsi - in qualunque regime - una funzione di Capo dello Stato che si riduca ad una etichetta di legalità, dietro cui (…) può nascondersi il prevalere occulto di oligarchie dispotiche».
Cerchiamo di analizzare questa ipotesi. L’Aquinate (Op. cit.) definisce l’oligarchia «il governo ingiusto non di uno solo ma di diverse persone, però poche, cioè predominio di pochi; e questo si ha quando pochi (…) opprimono (la moltitudine), differenziandosi dal tiranno solo per il fatto di essere in diversi». Come accade nel naturale-corretto funzionamento del corpo umano e della famiglia, è «più utile che una moltitudine di uomini viventi in società sia governata da uno solo piuttosto che da molti» (Op. cit., I, 2), tuttavia, insegna il grande tomista Papa Leone XIII, «il diritto d’imperio non è di per sé legato necessariamente ad alcuna particolare forma di governo: questo potrà a buon diritto assumere l’una o l’altra forma, purché effettivamente idonea all’utilità e al bene pubblico» (Immortale Dei), a patto che la società non precipiti nell’errore gravissimo della supposta «sovranità popolare».
Spiega il Pontefice: «È la stessa natura che testimonia come qualsiasi potere derivi dalla più alta e augusta delle fonti, che è Dio. La sovranità popolare, che (i moderni pretendono affermare) insita per natura nella moltitudine indipendentemente da Dio, se serve ottimamente ad offrire lusinghe e ad infiammare grandi passioni, non ha in realtà alcun plausibile fondamento, né possiede abbastanza forza per assicurare uno stabile e tranquillo ordine sociale. In verità a causa di tale dottrina si è giunti (all’assurdo) che da molti si sostiene la legittimità della rivoluzione, vista come giusto strumento di lotta politica». San Tommaso d’Aquino dimostra, ancora, come «la tirannide si produca più spesso nel regime di più persone che nel regime monarchico; ragion per cui il regime monarchico è migliore» (Op. cit., I, 5).
Prosegue: «Non più raramente, ma anzi forse più spesso, avviene che si trasformi in tirannide il governo di molti piuttosto che quello di uno solo. E infatti, una volta sorta discordia ad opera di un governo di più uomini, avviene spesso che uno (o un gruppo di iniquo potere, ndR) prevalga sugli altri e che per sé usurpi il dominio sulla società, cosa che chiaramente si può vedere da quanto è avvenuto nella storia» (ivi.). Posta la premessa che «nell’ambito politico e civile, le leggi (devono avere) per oggetto il bene comune, e (devono essere) conformate non alla volontà e al fallace giudizio della moltitudine, ma alla verità e alla giustizia» (Op. cit., Leone XIII), mi sembra che, al § 13 del suo Programma politico, il Cav. D’Agostino intenda mediare, quasi per offrire maggiori garanzie alla società, fra il governo di uno solo e quello di molti: «una forma di governo in cui collaborino Potere centrale monarchico e Camera elettiva», secondo i criteri del buon governo, ossia cristiani.
Al § 15 indica alcune regole di scelta: «Nelle forme di governo con partecipazione popolare il grave compito dell’esercizio delle responsabilità politiche può essere riconosciuto solo a chi abbia raggiunto maturità di pensiero e di esperienza. Nell’impossibilità (odierna) di accertare individualmente la sussistenza di tali condizioni, due criteri appaiono meglio consigliabili: o elevare adeguatamente il limite d’età che conferisce il diritto al voto, oppure concedere questo diritto, in via di massima, a quanti abbiano affrontato, col matrimonio, la responsabilità di fondare (e reggere) una famiglia. Questo secondo criterio corrisponderebbe alla posizione naturale della famiglia come elemento costitutivo dell’organizzazione politica, e beneficamente rafforzerebbe i princìpi dell’unità famigliare e dell’autorità del capo-famiglia, condizioni inderogabili per il consolidamento dell’ordine sociale». Altresì prevede di adottare tutte quelle misure affinché «i governi legittimi siano rispettati, (prudenzialmente impedendo o reprimendo) ogni tentativo di rovesciarli o di cambiarne la forma fuori delle vie previste dalle costituzioni, tranne per il caso di (vera e conclamata) tirannia» (§ 14). Prosegue …
Carlo Di Pietro da Il Roma