Secondo il compianto giurista Carlo Francesco D’Agostino (Nuova Alleanza, Quaderno VIII, pag. 14 segg.): «Bisogna riconoscere che, in nome del mito dello Stato, il regime instaurato in Italia dall’intesa democristiano-massonica-marxista ci ha ridotti (allo) schiavismo». Quanto poi alla famiglia: «È stato addirittura un Parlamentare democristiano, l’On. Tozzi Condivi, a conclamare su un diffuso settimanale (“Realtà Politica”) essersene realizzata non la riforma ma la distruzione».
I fautori del cosiddetto “positivismo giuridico”, «più sbrigativamente camuffato sotto la qualifica di “pragmatismo” (ovvero “azione politico-legislativa senza princìpi”) scherniscono quanti professano l’esistenza di un Diritto naturale, ossia di un sistema di princìpi di giustizia che debbono essere rispettati dallo Stato». Non si tratta di una capziosa questione dottrinale, bensì di rendersi conto che «non è (sempre) giusta, e quindi obbligante, qualsiasi volontà di un pubblico Potere».
Sulla soluzione di questo quesito non ci sono dubbi: «Il concetto di giustizia, come qualcosa di indipendente dagli umani arbitrii, è ben presente ad ogni mente avveduta. Sorge poi il problema di come tenerne conto nella strutturazione di un Ordinamento statuale».Quindi il compito elevato di «assicurare le giuste libertà».
D’Agostino fa alcuni esempi: «La libertà di due persone di vincolarsi reciprocamente con un contratto (di lavoro) che non abbia nulla di immorale. È giusto - si domanda - che quanti abbiano capacità e volontà di lavorare dieci ore al giorno, (affinché “con l’economia aumentino il loro avere e amministrando con saggezza l’aumentata proprietà possano più facilmente e tranquillamente sostenere i pesi della famiglia, e usciti da quell’incerta sorte di vita in cui si dibatte il proletariato, non solo siano in grado di sopportare le vicende della vita, ma possano ripromettersi che alla loro morte saranno convenientemente provveduti quelli che lasciano dietro di sé”), è mai giusto - si chiede D’Agostino - che ne siano impediti da “contratti collettivi di lavoro”, o da altre “pretese sindacali”, in cui non abbiano parte?».
Chi può aver mai diritto di «contrastare ad un volenteroso lavoratore la libertà di perseguire con il massimo impegno personale le finalità del dovere di lavorare, tanto limpidamente precisate da Papa Pio XI nella “Quadragesimo anno” (qui citata)?».
Ancora: «Quale legislatore di uno Stato può permettersi di vietare ad una coppia di giovani, che abbiano una visuale spiritualistica, e perciò realistica, della vita e del matrimonio, di legarsi con un patto indissolubile, per realizzare quella finalità che mai può venir meno, del “mutuum adiutorium” (reciproco aiuto) in una “communio omnis vitæ” (comunione di tutta la vita), fino alla morte?». Eppure: «La legislazione divorzista considera nullo un tal patto!».
Questi due esplicativi esempi «mettono a nudo le gravissime privazioni di giuste libertà, attuate da un regime che ad ogni passo calpesta fondamentali diritti umani», che anzi pretende di rimpiazzare con altri “diritti” di emanazione diabolica.
Prosegue e dimostra: «La libertà di contrarre oneste obbligazioni, con senso di responsabilità, con adeguata conoscenza di sé e delle proprie possibilità e finalità, sulla base di un rapporto di stima verso l’altro contraente, avvedutamente scelto, e con piena consapevolezza quanto all’oggetto dell’obbligazione: tale libertà praticamente non esiste più, in Italia».
Finalmente richiama «la più vergognosa privazione di libertà cui siano state schiavizzate, con spaventoso crescendo ed immani danni da oltre un secolo, le nuove generazioni, e cioè della libertà nella scelta culturale ed educativa». Uno dei motivi della lapidaria denuncia che, nel 1920, l’ Arcivescovo di Genova, Cardinale Tommaso Pio Boggiani, oppose agli errori di impostazione del Partito capeggiato da Luigi Sturzo e dal De Gasperi, quindi alla attuale D.C., fu la loro tesi «che si possa propugnare ed operare il cristiano recupero della Società relegando di fatto in soffitta Dio, Gesù Cristo, la Chiesa ed il Papa, e concedendo eguali diritti alla verità e all’errore» (Si legga a tal proposito il volumetto: «Un Vescovo contro la Democrazia Cristiana», Centro Librario Sodalitium, Verrua Savoia, 2008).
Quanti impartiscono una «falsa istruzione tradiscono i giovani, non meno che il bene dell’intera comunità». Essi «diseducano le coscienze, anziché formarle all’onesto ed al vero». Una vigilanza da parte delle pubbliche Autorità è legittima: «Ma è puro abuso pretendere di programmare obbligatoriamente ogni sorta di corsi di studio, imporre “scuole d’obbligo” con la tirannica trappola di esigere un determinato diploma riconosciuto dallo Stato, come tessera indispensabile per poter accedere a qualsiasi impiego, privato o pubblico, ed alle più modeste occupazioni. Ci ha ridotto a ben peggio di quando con il Fascismo (per necessità di famiglia) ci si doveva per forza iscrivere ad un infamato Partito!».
Prosegue …
A cura di Carlo Di Pietro da Il Roma