Nel mese di giugno del 1793 Papa Pio VI emana l’Allocuzione «Quare Lacrymae» nella quale traccia la “sorte” e le “ragioni” della cosiddetta “società moderna”.
Il Pontefice parte dall’assassinio di Re Luigi: «Ci conviene piuttosto esprimere con i gemiti (…) quell’immenso dolore dell’animo che Vi dobbiamo manifestare, mentre Vi esponiamo quanto è successo (…) Spettacolo orrendo di crudeltà e di barbarie».
Il «cristianissimo Re Luigi» muore «per la cospirazione di uomini empi e la condanna è stata subito eseguita».
Il Papa descrive le immediate conseguenze per la Francia prima - poi per numerose altre nazioni - di quell’insano gesto: «Abolita la più prestigiosa forma di governo, quella monarchica, (l’Assemblea Nazionale) aveva trasmesso ogni pubblico potere al popolo, il quale non si lascia guidare né dalla ragione, né dal consiglio; non fa distinzione fra il giusto e l’ingiusto; apprezza e stima poche cose secondo verità, molte invece secondo l’opinione corrente; è incostante, facile ad essere ingannato e condotto a tutti gli eccessi; è ingrato, arrogante, crudele. Gode nel vedere il sangue umano, la strage, i lutti e lo strazio dei morenti, come si vedeva negli antichi anfiteatri, e se ne pasce voluttuosamente».
Due parole sul processo al Re: «La parte più feroce di questo popolo, non contenta di aver degradato la maestà del suo Re, volendogli togliere anche la vita, comandò che fungessero da giudici i suoi stessi accusatori che gli si erano dichiarati nemici. (…) Da tanti giudici iniqui e perversi, da tanti voti estorti, che cosa ci si doveva aspettare e temere se non un risultato triste, orribile, esecrato per tutti i secoli?».
Era ben nota a tutti «l’indole soave, benefica, clemente, paziente di Luigi XVI, amante del suo popolo, alieno da rigore e severità, cordiale e indulgente verso tutti. (…) Quanta virtù in lui; quanto zelo ed amore per la Religione cattolica! Quale testimonianza di vera pietà verso Dio!».
Luigi poteva ripetere le parole del Re d’Inghilterra Giacomo I: «Vengo calunniato in tutte le assemblee popolari non perché ho commesso qualche crimine, ma soltanto perché sono il Re; il che è ritenuto il peggiore di tutti i crimini».
Stessa la sorte toccata anche a Maria Stuarda, cattolica regina di Scozia, perseguitata dai Calvinisti, contro cui i giudici iniqui «pronunciarono la condanna a morte, come fosse irrefutabilmente rea e quella testa regale fu troncata sul palco». Come per la Stuarda, anche per Re Luigi «chi mai potrebbe mettere in dubbio che quel Re fu messo a morte per odio contro la Fede ed oltraggio ai dogmi del Cattolicesimo?».
Calvinisti e Gallicani hanno preparato gli animi «indottrinando il popolo con empie ideologie», e, quando «questi uomini depravati hanno notato l’esito favorevole della loro opera, e che era già giunto il momento di mettere in esecuzione i loro disegni, cominciarono a sostenere apertamente che è cosa lodevole togliere di mezzo il principe che non vuole aderire alla religione riformata e non vuole partecipare alla difesa della religione dei protestanti».
Uno degli architetti di questo «albero velenoso» è «l’infame Voltaire», e con lui tutti «quei perversi filosofi (che) cercano di far sì che gli uomini sciolgano tutti quei legami dai quali sono uniti fra di loro ed ai loro sovrani con il vincolo del loro dovere; essi proclamano fino alla nausea: l’uomo nasce libero e non è soggetto a nessuno. Quindi la società è una folla di uomini inetti, la stupidità dei quali si prosterna davanti ai sacerdoti (dai quali sono ingannati) e davanti ai re (dai quali sono oppressi), tanto è vero che l’accordo fra il sacerdozio e l’impero non è altro che un’immane congiura contro la naturale libertà dell’uomo».
Questa dunque - prosegue il Papa - è quella «libertà filosofica che mira al risultato di corrompere gli animi, depravare i costumi, sovvertire l’ordine delle leggi e di tutte le istituzioni».
I suddetti agitati «difensori del genere umano hanno aggiunto a questo falso e bugiardo nome di libertà l’altro nome parimenti falso di uguaglianza: (volendo vivere …) senza nessuno che (… li) richiami dall’agire perverso sulla strada dei doveri, affinché la società stessa (…) cada nell’anarchia e si dissolva».
E qui si può giustamente adattare al caso - ricorda ancora il Pontefice - ciò che scrisse san Cipriano: «Come è possibile che siano gli eretici a giudicare i cristiani, gli ammalati ad occuparsi dei sani, i feriti di chi è rimasto incolume, i peccatori del santo, i rei dei giudici e i sacrileghi del sacerdote?». Prosegue …
Carlo Di Pietro da Il Roma