Un cosentino si presentò un giorno dall’eremita e taumaturgo san Francesco (Paola, 1416 - Tours, 1507), chiedendogli, tutto in lacrime, di prestargli soccorso in un suo bisogno impellente. Il Sant’uomo di Dio, sempre disponibile e dedito alla vera carità, disse «Dimmi subito, figliuolo, dimmi subito, figliuolo». «Ecco qui», soggiunse il cosentino: «mia moglie, invece di una bella creatura, da me tanto desiderata, mi ha partorito un mostro». La moglie del cosentino aveva, difatti, da poco messo al mondo un povero bambino deforme a cui mancavano occhi, orecchie e bocca, ed aveva solo il naso, tanto che probabilmente sarebbe morto dopo poco. Condotto san Francesco presso il luogo del parto, continuando nei pianti, il cosentino fece alzare certi panni dove era ravvolta la “creatura-mostro”, come la definisce il dotto Padre Belmonte senza mezzi termini. Fra i panni si vedeva quella creaturina infelice come un “pezzo di carne quasi schifoso” (Ivi.), senza bocca, senza occhi, senza orecchi. San Francesco guardò “quella mostruosità” (Ivi.) e ne sentì nell’intimo del cuore una pietà profonda. Egli prese con la sommità del dito indice un poco di sputo dalla sua santa bocca (cf. san Giovanni IX,6) ed unse con quello sputo i punti ove dovevano naturalmente essere collocati gli occhi, la bocca e le orecchie della creaturina. Poi disse al cosentino, il quale stava a vedere come doveva andare a finire questo rituale: «Apri, in carità, con le proprie tue mani a questa creatura le orecchie, la bocca e gli occhi nei punti da me con lo sputo segnati». Il buon cosentino, non sapendo per lo stupore cosa fare, macchinalmente si adoperò nella santa istruzione data dal rinomato Taumaturgo della vera fede, del vero Dio. Ed ecco che su “quel mostro” (Ivi.) apparvero due orecchie e due occhi bellissimi, ed una bocca con le labbra di schietto corallo. La povera “creatura-mostro”, conclude il Predicatore, ci pare un simbolo spiccato della mostruosità che produce nell’anima il peccato mortale. Rimarremmo davvero spaventati se potessimo vedere un’anima inquinata dalla colpa del peccato mortale. Preghiamo san Francesco da Paola che ci preservi da questa disgrazia. Il presente racconto, oltre a quanto appena detto, ci dimostra come non sono le belle parole (per rispetto umano) e la demagogia che salvano le anime: questo crudo racconto ne è la testimonianza! (Tratto da Giacinto Belmonte cappuccino, Op. cit., 1887, con permesso dei Superiori, vol. II, pag. 403-404).

A cura di Carlo Di Pietro 

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