Di Santa Elisabetta di Turingia si raccontano portenti di carità. Per i malati, e specie per i lebbrosi, ella era una madre, una sorella, una serva, la mano stessa della Provvidenza. Come la donna forte della sacra Scrittura, lavorava con le proprie mani le vesti agli orfanelli. Nel trattare sempre coi poveri ella prese grande amore alla povertà, e così divenne una degna figliuola di San Francesco d’Assisi. Ora accadde un giorno che Elisabetta, avendo dato tutto ai poveri, non si trovasse in mano neppure la più piccola moneta. Intanto, un altro povero, sopravvenuto quando la Santa aveva dato ogni cosa, le cominciò a chiedere elemosina con voce lamentevole. Che fare? Elisabetta vede che ha le mani vestite di guanti, ma quei guanti son molto ricchi, son ornati di gemme preziosissime. E che monta tutto questo? Ella se ne trae uno e lo porge a quel povero. Un cavaliere era presente al fatto e volle comprare il guanto dal povero con danaro sonante. Acconciò poi il guanto al suo elmo e in tutte le battaglie che sostenne, come confessò egli stesso nell’estrema vecchiezza, fu sempre vincitore dei nemici. Il buon Dio aveva comunicato al guanto della carità la virtù delle vittorie in mezzo ai campi di battaglia. - Ma che dobbiamo noi più ammirare il guanto che opera prodigi, o la prodigiosa carità di santa Elisabetta? Se le ricche signore avessero dinanzi agli occhi gli esempi di Santa Elisabetta, di certo non spenderebbero a gingilli così spesso quel danaro che potrebbe asciugare tante lacrime nei miserabili tuguri dei figli del popolo. Ci pensino!
Da «Racconti Miracolosi», Padre Giacinto da Belmonte, 1887, Vol. II, pagine 62 e 63.