Il serafico Padre San Francesco d’Assisi - invitto difensore dell’ortodossia della fede contro ogni eresia e dell’autorità spirituale e temporale del Romano Pontefice e della Santa Chiesa - nell’anno 1222 si trovava a Roma. Egli prese in grande affetto ad un piccolo agnellino, scorgendo in esso l’immagine di quell’Agnello che venne a togliere col Suo Sangue i peccati del mondo. Dovendo partire da quella Città, egli volle lasciare l’agnellino in custodia della devota vedova Giacoma da Settesoli. La cara bestiola parve mutata da San Francesco in un consumato maestro di fervorosa devozione. Quando la mattina Giacoma era pronta per recarsi in chiesa, l’agnellino tutto festante era prodigo nell’accompagnare la sua padrona. Nella casa del Signore poi stava - riservato - le lunghe ore con quella santa vedova senza fare neppure il minimo strepito e, quando ella aveva finito le preghiere ed usciva per ritornarsene in casa, la seguiva mostrandosi per via tutto atteggiato a pietà. Ma la cosa più sorprendente era appunto che se Giacoma qualche mattina non si alzava ad ora fissa, l’agnello andava vicino al suo letto e, belando e urtandola col capo e facendo per la stanza altri rumori, la svegliava e non “era contento” se non quando la vedeva si acconciava per andare in chiesa. Quella santa donna, pertanto, si stimava del tutto fortunata per aver avuto dalle mani di San Francesco un “grande maestro” di devozione. Quell’Agnello spingeva la devota donna alla chiesa, ed oggi tanti scellerati, che si potrebbero chiamare caproni d’inferno, ritraggono dalla chiesa le povere donne per corromperle e gettarle in mezzo al vituperio, alle infamie. (Tratto da Giacinto Belmonte cappuccino, Racconti miracolosi, 1887, con permesso dei Superiori, vol. II, pagine 225-226).
A cura di Carlo Di Pietro