Ecco il fatto raccontato da San Francesco di Sales, il quale lo apprese da San Bernardino da Siena. All’epoca in cui i cristiani più nobili e più ricchi compivano un atto d’amore - il più tenero verso Gesù Cristo - con la visita di quei luoghi nei quali Egli nacque, visse e morì per amore degli uomini, un giovane cavaliere intraprese con straordinario fervore quel devoto pellegrinaggio. Appena toccò la terra della Palestina, il suo cuore fu ripieno di tenerezza, di riconoscenza, di amore per Colui che aveva santificato quella terra misteriosa con tanti sudori e con così aspri patimenti. Il fervoroso cavaliere volle fare le sue visite con molto ordine e con tanta precisione. Anzitutto si recò a Betlem, nella grotta dove nacque il Figlio di Maria. Lacrime di tenerezza inesprimibile cominciarono a scorrere dai suoi occhi nel contemplare il luogo che accolse il divino Infante. Da Betlem corse a Nazaret, dove l’amabile Salvatore passò trent’anni con la Vergine sua Madre e con San Giuseppe suo custode. Silenzioso, in una povera bottega, lavorando per guadagnarsi il pane col proprio sudore, ignoto a tutti e ignorato da tutti. Quindi volle vedere il fiume Giordano, nel quale il buon Gesù venne battezzato da Giovanni; poi il deserto, dove il divino Maestro digiunò quaranta giorni; infine Gerico e Betania, luoghi di celebri miracoli operati dal Signore. Ma a Gerusalemme si fermò più a lungo. In quella «Città deicida» e nei dintorni della stessa, il cavaliere volle contemplare il Redentore del genere umano prostrato in preghiera nell’orto degli ulivi, volle seguirlo per i tribunali di Anna, di Caifas, di Pilato; lo volle, con immensa compassione, accompagnare sino alle cime sanguinose del monte Calvario. Sopra quel monte il cavaliere sentì come scoppiarsi il petto dal dolore. Prostrato al suolo, non diceva, ma gemeva in questa maniera: «È qui che il mio Dio è stato crocifisso.... qui gli trapassarono le mani e i piedi con enormi chiodi... qui è stata consumata l’opera della mia salute e della redenzione del genere umano....». A quel santo pellegrino rimanevano due altre visite, e le fece subito. Si recò al santo Sepolcro e restò tutto compreso d’arcana paura al pensiero che l’Autore della vita era stato chiuso per tre giorni in una sepoltura! Finalmente eccolo sopra quel monte dove Gesù Cristo, spiccando al cospetto degli Apostoli il volo verso il cielo, lasciò impresse, come dice San Girolamo, le orme dei suoi piedi divini. Il pellegrino cadde in ginocchio pregando così: «O mio Gesù, o amore del mio cuore, dove volete che ora vada più io? Ho visitato tutti i luoghi che, durante la vostra vita mortale, vi degnaste abitare; ho egualmente venerato tutti quelli che degnaste santificare col vostro sangue; ora eccomi, o Signore, al luogo sacro donde voi saliste al cielo. Potrei io mai, o mia vita, o mio tutto, seguirvi in Paradiso? Oh, se il potessi!». Appena ebbe pronunziato queste parole, il cavaliere piegò la testa e morì. Da quel sacro monte, a somiglianza del suo amatissimo Gesù, è volato al cielo... Che stupendo pellegrinaggio e che stupenda morte! Noi anche voleremo al cielo dal nostro letto dell’agonia, se sapremo con Gesù Cristo portare in pace la croce dei patimenti, se prima della morte sapremo con la volontà distaccarci dalle miserie di questa miserabilissima vita mondana. (Tratto da Giacinto Belmonte cappuccino, Racconti miracolosi, 1887, con permesso dei Superiori, vol. II, pagine 534 - 536).
A cura di Carlo Di Pietro