Il grande arcivescovo di Firenze Sant’Antonino riporta nei suoi scritti un fatto terribile, avvenuto verso la metà del secolo decimoquinto.
Un giovane di buona famiglia aveva avuto la disgrazia di commettere un grave peccato, e poi la disgrazia, ancor più grande, di celare quel peccato al suo confessore (Concilio di Trento: «Se qualcuno negherà che la confessione sacramentale sia stata istituita da Dio, o che sia necessaria per volere divino o dirà che il modo di confessarsi segretamente al solo sacerdote, come ha sempre usato ed usa la Chiesa cattolica fin dall’inizio, è estraneo all’istituzione e al comando del Cristo ed invenzione umana, sia anatema», ndR).
Intanto egli andava spessissimo ai sacramenti, e quindi accumulava sacrilegi a sacrilegi. I rimorsi della coscienza però dilaceravano l’anima del povero giovane, tuttavia egli mai si decideva a confessare schiettamente sia il peccato grave, sia i sacrilegi che faceva (per tale ragione) nel confessarsi e nel comunicarsi frequentemente.
Non potendo più lottare contro la guerra della coscienza, il giovane decise d’entrare in una religione (in un Ordine, ndR), tanto per fare una volta la sua confessione generale. Ma ecco una disgrazia per quell’infelicissimo giovane.
Dai religiosi venne ricevuto va braccia aperte, perchè era conosciuto quasi per un santo nel secolo. Entrato con questa opinione di santo in convento, egli ebbe una vergogna invincibile di confessare i suoi peccati con un’accusa generale. E sapete voi? Nel convento continuò i suoi sacrilegi peggio, mille volte peggio di prima; ed intanto era sempre stimato per un giovane di santa vita.
Passò tre anni in sì deplorevole stato, quando una malattia pericolosissima gli porse l’occasione propizia di fare la confessione generale. Aveva tutta la buona volontà di fare quella confessione, ma tanta fu la vergogna, quando fu vicino al confessore, che non poté farla in nessuna maniera. Il misero dunque ricevette i sacramenti sacrilegamente in punto di morte, e dopo ricevuti quei sacramenti spirò! I religiosi, ignorando lo stato miserando della coscienza di quel giovane, spirato che fu, lo portarono in chiesa con grande venerazione e tutti si consolavano che dal convento era passato al cielo un santo religioso.
Il giorno seguente si dovevano fare le esequie, e, alcuni minuti prima della sacra cerimonia, un fratello laico, mandato a suonare la campana, si vide comparire dinanzi l’anima del giovine in una figura orribilissima. Il fratello, spaventato dalla terribile apparizione, cadde in ginocchio, quando il reprobo mise questo grido: «Non pregate per me, perché io sono all’inferno per tutta l’eternità!». Poi narrò a quel fratello laico, in succinto, la storia del suo peccato e dei suoi sacrilegi.
Non credete che sia un fatto terribile? Intanto coloro che vanno alla confessione ci pensino sul serio. Spesso noi non abbiamo nessuna vergogna di commettere i peccati, e poi la vergogna ci fa tanto tremare quando siamo ai piedi del confessore. (Tratto da Giacinto Belmonte cappuccino, Op. cit., 1887, con permesso dei Superiori, vol. II, pagine 163 - 165).
A cura di Carlo Di Pietro