Santa Teresa (detta di Gesù) era riuscita, dopo tante tribolazioni e controversie, a far edificare un convento nella sua città d’Ávila.

Durante l’esecuzione dei lavori per cambiare in monastero una vecchia casa acquistata dalla Santa, cadde un muro e seppellì sotto le sue rovine un bambino (battezzato), schiacciandolo orribilmente ed uccidendolo. Quel fanciullo era proprio il figlio d’una sorella di Santa Teresa. Ognuno immagini il disperato pianto della madre ed anche il gran dolore della santa Zia.

Però Teresa non si smarrì: si fece portare il bambino, lo prese fra le braccia e poi, con ardenti sospiri, domandò al suo Dio la grazia di risuscitarlo da morte. Dopo pochi minuti il bambino riprese vita e fu sano come prima dell’incidente. La madre se lo strinse al petto in un fremito d’amore inesprimibile.

Tuttavia quell’innocente, ancora fra le braccia della madre, rivolse in tuono di lamento alla Zia le seguenti parole: «Mi avete fatto un gran male, io ero in Paradiso e voi mi avete richiamato in questo misero mondo. Voi siete obbligata in coscienza d’assicurarmi la salute eterna con le vostre preghiere».

Quel bambino crebbe e, dopo pochi anni dalla morte di Santa Teresa di Gesù (o d’Ávila), morì anch’egli con evidenti segni d’essere andato in Paradiso (morì in odore di santità).

Riflette il pio Autore: «Le madri cristiane piangono da mettere pietà alle pietre quando un innocente bambino lascia questa vita e se ne vola al Paradiso. E poi queste stesse madri, ordinariamente, ridono quando conoscono che i figli, venuti all’età della ragione e della malizia, cominciano a commettere quei peccati.... Ah!».

(Tratto da Giacinto Belmonte cappuccino, Op. cit., 1887, con permesso dei Superiori, vol. II, pagine 100 e 101).

A cura di Carlo Di Pietro

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