Agli inizi del secolo nono, in Spagna, i maomettani, che lì imperversavano, eseguirono grandi stragi di cristiani. I casi poi di due verginelle sono davvero pietosi. Una si chiamava Flora (di Cordova), l’altra Maria (Marta).
Flora era nata da madre cristiana e da padre maomettano. La buona genitrice ne aveva fatto un’anima innamorata perdutamente di Gesù Cristo. Flora era mite, umile, amante della mortificazione, caritatevole con i poverelli, ritirata, desiderosa di pregare e di meditare giorno e notte. Purtroppo perdette i genitori e rimase sola con un fratello, il quale era maomettano e «scostumato come un ciacco» (come un maiale, es. “Degno di star col ciacco nel porcile”, ndR).
Quel «demonio di fratello» intendeva sedurla, così Flora scappò di casa (fu brutalmente picchiata con l’accusa di apostasia e fu costretta a fuggire per sei anni, ndR). Finalmente si riparò in una chiesa (la basilica di san Acisclo, ndR), dove vi trovò un’altra giovane fanciulla di nome Maria: «che pregava tutt’accesa di fervore».
Le due ragazze s’avvicinarono, si scambiarono poche parole, e quelle poche parole bastarono per far nascere tra loro un’amicizia che non sarebbe finita mai. Maria era la sorella di un diacono chiamato Valabonso, martirizzato pochi giorni prima.
«Sorella - disse Flora a Maria - preghiamo insieme il buon Gesù che ci faccia degne del martirio». Maria replicò rapidamente: «Preghiamo, Flora mia, preghiamo». Il buon Gesù poteva fare a meno di ascoltare la preghiera di quelle due «innocenti colombe»? Assolutamente no.
Passarono pochissimi giorni e Flora e Maria furono imprigionate dai «sozzi Maomettani» (il P. Belmonte sta denunciando il loro stile di vita, ndR). In prigione furono visitate da sant’Eulogio di Cordova, che ivi scrisse il «Documentum martyriale».
Il fratello di Flora, respinto dalla giovane vergine, corse al tribunale per accusare crudelmente la povera sorella di essere cristiana e schernitrice delle leggi di Maometto. Le due ragazze intanto replicavano coraggiose alle accuse, e, con discorsi bellissimi, «facevano dinanzi ai giudici la confutazione della stupida religione maomettana» (l’Autore sta denunciando le tante contraddizioni e contraffazioni bibliche della dottrina cosiddetta islamica, ndR). I giudici non sapevano rispondere: «erano ridotti da quelle giovinette ad un silenzio assoluto».
I brutali tiranni finalmente dettero una risposta, che fu appunto la condanna a morte delle due fanciulle, poiché cristiane. Flora e Maria tripudiarono di gioia ineffabile e resero grazie a Gesù Cristo. Poi, coraggiose, porsero l’innocente collo ai carnefici e le loro anime, insieme abbracciate, volarono al cielo (il 24 novembre 851, ndR).
Conclude il Padre Belmonte: «L’esempio di queste due giovinette non ci dice nulla? Via, cominciamo una buona volta ad essere cristiani». (Tratto da Giacinto Belmonte cappuccino, Op. cit., 1887, con permesso dei Superiori, vol. II, pagine 37 - 39).
A cura di CdP
In alto in foto un'opera di Caravaggio sui Santi Martiri del Signore.