Ai tempi di sant’Ignazio di Loyola abitava a Roma un gran signore, il quale, purtroppo, non viveva tanto cristianamente la sua vita: tuttavia quel nobile signore era di un umore proprio singolare. Egli commetteva certi peccati assai gravi e poi ne sentiva un dispiacere indicibile, così si proponeva di non cascarci mai più. Intanto il poveretto, non essendo tanto guardingo nell’evitare le occasioni di peccato, commetteva sempre gli stessi peccati. Un giorno si recò a far visita a sant’Ignazio e, tutto compunto, gli chiese di voler pregare per lui il Signore, perchè egli era uno di quegli infelici che hanno desiderio di salvarsi l’anima, ma non possono, essendo sempre imbrogliati tra i lacci del demonio. Sant’Ignazio promise di pregare e, nel contempo, dette consigli a quel signore di stare attento (di vigilare) e di fuggire le occasioni che lo facevano cadere con tanta facilità. Dopo un mese pieno di confusione, egli tornò dal Santo e lo rimproverò dolcemente di non aver pregato per lui Iddio. «Io ho pregato per voi», gli risponde sant’ Ignazio, «ho pregato ogni giorno, ho pregato molto». Allorché il signore: «Ed io perché, perchè son caduto nel peccato più miserevolmente di prima?». Sant’Ignazio, dopo aver riflettuto un poco, si alzò dalla sua sedia e pregò quell’uomo di volerlo aiutare a portare un tavolino da una stanza ad un’altra. «Son fortunato - risponde l’uomo - eccomi pronto». Allora succede un episodio curioso. Sant’Ignazio afferra il tavolino dal lato ch’è vicino al muro della sua cella ed il signore l’afferra dal lato che guarda la porta della medesima cella, sicché, per uscire, il povero signore deve camminare di spalle e sant’Ignazio nella maniera ordinaria. Intanto il Santo, afferrato il suo lato del tavolino, invece di cominciare a camminare come faceva il suo compagno, puntò sul pavimento i piedi e non si volle muovere per nessuna ragione, anzi tirò a sé il tavolino il più possibile. «Ma allora, P. Ignazio», dice meravigliato il cavaliere, «allora come porteremo noi nell’altra stanza questo tavolino? Vienimi appresso, via, e non state fermo, e non tirare anzi». Sant’Ignazio, a quell’osservazione tanto giusta, lasciò il tavolino, portò le mani sul petto e rispose seriamente a quel signore: «Ecco, fratello mio, il caso vostro preciso. Io prego per la vostra conversione, voi non aiutate la mia preghiera con la vostra cooperazione e tirate per la parte dell’occasione e della tenta­zione; e come, allora, vi potrete convertire dav­vero al Signore? Tiriamo tutti e due per la stessa parte, e tutto andrà benissimo». Il cavaliere capì benissimo il latino, seguì il saggio consiglio di sant’Ignazio e si diede per sempre al servizio di Dio ed alla salvezza della sua anima. Sicché, con quel muto linguaggio del tavolino, il gran Santo di Loyola convertì quel povero peccatore. Simili a quel signore di Roma sono tanti deboli cristiani che hanno il desiderio di salvarsi e si vanno sempre raccomandando alle orazioni delle anime buone, ma senza fare il minimo sforzo contro la loro na­tura abituata al peccato. Costoro non andranno certo in Paradiso. (Tratto da Giacinto Belmonte cappuccino, Op. cit., 1887, con permesso dei Superiori, vol. II, pagine 19, 20 e 21).

A cura di CdP

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