Il Padre Schouppe, nel suo libro Il domma dell’inferno illustrato con fatti, racconta di un tragico castigo toccato, nei tempi nostri (fine del 1800), ad un empio negatore dell’inferno. L’uomo era di ragguardevole casata e l’autore lo designa col nome di Leonzio. Questo infelice non solamente non ammetteva la credenza dell’inferno, ma volgeva buffonescamente in ridicolo quella terribile credenza in mezzo agli sfaccendati suoi amici. Un giorno però, in cui doveva dare un gran banchetto nel suo castello, gli accadde di trovarsi per un po’ di passeggio con un suo amico non sfaccendato, e volle con lui attraversare il cimitero. Il piede di Leonzio, per caso, urtò in un cranio che stava al suolo, ed egli lo scagliò via da sè con queste parole oltraggiose e blasfeme: «Lungi da me, ossa spolpate, miseri avanzi di ciò che non è più». «Il tuo linguaggio, o Leonzio, non mi pare corretto», gli disse l’amico in tuono di grande serietà. Leonzio non rispose all’amico, ma al cranio stesso, facendogli questo tremendissimo invito: «Se lo spirito che ti animò esiste ancora, venga esso a raccontarmi novelle dell’altro mondo: l’invito in questa sera stessa al mio banchetto!». Venuta la sera, Leonzio se ne stava a tavola con numerosi amici e testimoni oculari di quello che accadde, raccontando loro sguaiatamente la sua avventura del cimitero. In quel momento si sentì un gran fracasso, ed al medesimo tempo uno spettro orribile si presentò nella sala, e gettò lo spavento fra i convitati. Leonzio, sopra tutti, perduta ogni audacia, diventò pallido, tremante, tutto fuori di sé. L’infelice avrebbe voluto fuggire, ma lo spettro non gliene diede il tempo, ché, afferratolo velocemente, gli sfracellò il capo contro il muro. Così quel disgraziato negatore e beffeggiatore dell’inferno passò dal pranzo all’inferno. Che facciano senno, una volta per tutte, gli innumerevoli negatori e beffeggiatori dell’inferno dei giorni presenti! (Tratto da Giacinto Belmonte cappuccino, Op. cit., 1887, con permesso dei Superiori, vol. II, pagine 156 e 157).
A cura di Carlo Di Pietro