Seguono alcune massime di Sant’Agostino sull’avarizia. Avaro è non solamente chi rapisce l’altrui, ma anche chi tenacemente custodisce le proprie cose. Gli avari vogliono godere il denaro, e servirsi di Dio come mezzo ad ottenerlo, poiché essi tengono la pecunia non come utile per servire Dio, ma servono a Dio per riportare da lui, maggior pecunia. La sola avarizia dei ricchi è miserabile, poiché essa rapisce sempre e mai non è paga, né teme Dio, né rispetta gli uomini. Assai gravi cose pretende l’avarizia, fatiche, cioè, pericoli, angustie e dolorosi travagli. Perisca l’avarizia, e tosto ricca apparirà la natura. L’avarizia fu quella che fece schiavo un discepolo di Cristo. Ciascuno che ama ciò che è inferiore a sé senz’altro si degrada. Se tu ami la terra, sarai terreno. Qual merito ti torna, di essere senza sostanze, se ardi dal desiderio delle medesime? L’avaro si getta su tutto, come la morte: tutto inghiottisce, come l’inferno. Non reca nessun dolore esser privi di beni, qualora non si desiderino. Colui che possiede tutto ciò che ha, è padrone delle cose proprie, e sì fatto padrone è colui che dominato non è dalla cupidità di possedere, mentre questo tale invece di possedere è posseduto dalle ricchezze. L’avaro prima di arricchire perde sé stesso, e prima di guadagnare rimane guadagnato. L’avarizia non proviene dall’oro, ma risiede nell’uomo, il quale ama l’oro perversamente, posposta la giustizia che pur sola doveva preporre all’oro stesso. Non amerebbero punto gli uomini il denaro, se non si reputassero più stimati quanto più ne posseggono. L’avaro può assomigliarsi all’inferno, poiché l’inferno quanto più divora tanto più desidera, e non altrimenti pure l’avaro giammai si sazierà.
Tratto da «Prontuario del Predicatore», Volume I, Padre Vincenzo Houdry, Imprimatur 1932, Editore Giovanni Daverio, 1933, dalla pagina 221 a seguire.