• Il beato Arcivescovo Teofilo si recò un giorno sul monte di Nitria. L’abate del luogo gli venne incontro. L’Arcivescovo gli dice: «Padre, che cosa hai trovato di speciale in questa via?». «L’accusare e biasimare sempre se stessi», gli dice l’anziano. Il padre Teofilo dice: «Non c’è altra via che questa» (197cd; PJ XV, 19).
• Il padre Teofilo Arcivescovo si recò un giorno a Scete. I fratelli riunitisi dissero al padre Pambone: «Dici al papa una parola di edificazione». L’anziano dice loro: «Se non è edificato dal mio silenzio, non potrà esserlo dalle mie parole» (PJ XV, 42).
• Lo stesso padre Teofilo disse: «Con quanto timore, tremore e angustia dobbiamo pensare al momento in cui il corpo si separerà dall’anima. Si muoverà contro di noi l’esercito e la potenza delle forze nemiche, i principi della tenebra, i dominatori cosmici della malvagità, i principati e le potestà, gli spiriti del male. Essi sottoporranno l’anima a una specie di giudizio, ponendole di fronte i peccati commessi consapevolmente e inconsapevolmente, dalla giovinezza fino all’età in cui fu colta dalla morte. Sorgeranno accusandola di tutte le sue azioni. Quale tremore pensi dunque che avrà l’anima in quell’ora, finché non sarà pronunciata la sentenza e verrà liberata? Questa è l’ora della sua angustia, finché non vedrà che cosa le è riservato. Ma anche le potenze divine si ergeranno contro quelle nemiche e metteranno innanzi il bene che essa ha compiuto. Comprendi dunque con quale timore e tremore l’anima starà là in mezzo, finché il suo giudizio riceverà la sentenza da parte del giusto giudice. E, se è degna (ovvero se è morto senza peccato mortale, ndR), ne avranno scorno le potenze nemiche e sarà strappata dalle loro mani. E vivrà libera da ogni preoccupazione, anzi, avrà dimora stabile, come sta scritto: In te è la dimora di tutti coloro che si rallegrano. Allora si compirà la parola: Là è travaglio, dolore e gemito. L’anima liberata se ne andrà verso quella ineffabile gioia e gloria, in cui avrà dimora. Ma se si troverà che nella sua vita è stata negligente (ovvero se è morto con peccato mortale, ndR), udrà la terribile voce: Sia tolto l’empio, così che non veda la gloria di Dio. Allora piomberà su di lei il giorno dell’ira, della tribolazione, dell’angustia, giorno di oscurità e di caligine. Condannata alle tenebre esteriori e al fuoco eterno, sarà punita per secoli infiniti. Dove sarà allora la gloria del mondo? Dove la vanità? Dove le delizie, il piacere, i sogni? Dove il riposo? Dove le lodi, le ricchezze, le nobili origini? Dove padre, madre, fratello? Chi di loro potrebbe liberare l’anima arsa dal fuoco e prigioniera di tormenti terribili? Di fronte a ciò, quali dobbiamo essere, in santi comportamenti e pietà? Quale amore dobbiamo possedere? Quali i nostri costumi, quale il modo di vivere, quale il nostro comportamento? Quanta l’esattezza, la preghiera, la fermezza? Dice infatti: Aspettando queste cose cercate di essere trovati in lui senza macchia e senza colpa, in pace, per essere resi degni di udire lui che dice: Venite, benedetti dal Padre mio, prendete possesso del regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo, nei secoli dei secoli. Amen» (200a-201a).
• Lo stesso Arcivescovo Teofilo in punto di morte disse: «Beato te padre Arsenio, che hai sempre pensato a quest’ora» (PJ III, 5).
Tratto da Vita e detti dei Padri del deserto, edizione Città Nuova, 1999.