Dio ci ha creati per conoscerlo, amarlo e servirlo in questa vita, e per goderlo poi nell’altra, in Paradiso. Premesse. - 1° Per intendere bene questo insegnamento è necessario premettere e ben intendere che Dio ha creato l’universo intero, e quindi anche l’uomo e anche noi, principalmente per la Sua gloria esterna. Essere infinito e perfettissimo, esistente a sé e da sé e per se stesso, Egli non poteva proporsi altro fine. E come Egli ha creato tutto per la Sua gloria, così tutte le creature hanno per fine principale ed essenziale di glorificare Dio, di rendergli gloria. - 2° Osservate come ogni cosa può avere vari fini secondari: ad es. il sole ha per fine secondario d’illuminare e riscaldare la terra, l’acqua di dissetarci e di mantenere alla terra la fecondità e la vita ai viventi. Al di sopra di questi fini c’è l’ultimo, il supremo, che è lo stesso per tutte le creature: rendere gloria a Dio. Così anche l’uomo ha molti fini particolari: ognuno ha il suo speciale: l’operaio che lavora, per procurarsi il necessario alla vita; lavorando si propone di compiere l’opera o la cosa propria del suo lavoro. Egli però ha sempre lo scopo generale di guadagnare per vivere, per provvedere alla famiglia e al proprio avvenire. Si studia per imparare, per prepararsi alla scuola, all’esame in fine di anno, per imparare. Ma sopra tutti questi fini l’uomo deve sempre avere in vista l’ultimo, il supremo, quello che è il vero e definitivo per cui Dio l’ha creato, cioè glorificarlo. - 3° Nella Sua bontà infinita, creando, Iddio non si è proposto come fine ultimo solo la Sua gloria, ma anche il bene delle creature intelligenti; si è proposto di renderle eternamente felici con Sé; ed ha legato tra loro i due fini, quello della Sua gloria e quello della loro felicità o beatitudine, per cui essi non si separano più. Glorificando Dio, l’uomo raggiunge la propria beatitudine, e non la può raggiungere se non glorificando Dio. - 4° Ogni essere glorifica Dio secondo la propria natura, in modo diverso dagli altri esseri. Il sole, ad es., con l’illuminare e riscaldare; l’acqua col mantenere alla terra la fecondità e agli esseri la vita, la terra col produrre il necessario alla vita, ogni pianta col produrre il frutto suo proprio. Così l’uomo deve glorificare Dio in conformità della propria natura, delle proprie attitudini, del proprio stato; e anche in proporzione della capacità delle potenze personali che Dio gli ha accordato. Da queste premesse possiamo facilmente intendere il grave e importantissimo insegnamento di questa risposta che bisogna considerare con grande attenzione. Spiegazione. - L’uomo, dunque, deve glorificar Dio, poiché fu creato per questo fine principale, e deve glorificarlo coll’impiegare per Lui le proprie potenze e capacità. Orbene, che cos’ha l’uomo? Egli ha una mente, un cuore o volontà, e la persona intera. L’uomo deve dunque impiegare pel Signore, per glorificarlo, la propria mente, il proprio cuore o la propria volontà e, quindi, la vita che ne dipende, la sua attività. 1. - Conoscerlo. Colla mente l’uomo conosce: conosce le cose, la verità. Dio è l’Essere Primo e Supremo, Creatore e Signore, Egli è Verità. Dunque in prima l’uomo deve studiare di conoscere Dio, e ciò che riguarda Dio, la Sua natura, le Sue opere, e la Sua volontà. Colla mente l’uomo glorifica Dio, quando la indirizza a conoscerlo quanto lo può su questa terra. Noi, come già si disse, possiamo conoscere Dio in due modi: col lume della ragione e col lume della fede. Conosciamo Dio col lume della ragione e col lume della fede, studiando il Catechismo. 2. - Amarlo. Conosciuto un bene, naturalmente lo si ama. Dio è il sommo Bene e la somma Autorità; dobbiamo quindi amarlo col sottomettergli la volontà nostra, col volere ed amare ciò che Egli vuole ed ama; e ripudiare ciò che Egli non vuole e proibisce. 3. - Servirlo, ossia compiere effettivamente, nella nostra vita, la volontà Sua. Noi ameremo e serviremo Dio coll’osservare i Comandamenti, col praticare la religione, coll’indirizzare tutte le nostre azioni, anche le più materiali, a Suo onore e gloria, ossia allo scopo di fare la volontà Sua e glorificarlo. L’ubbidienza è sempre la grande prova di amore verso i genitori come verso Dio. 4. - Dio, come Creatore, ha su noi ogni diritto; Egli quindi avrebbe potuto esigere da noi il servizio che gli dobbiamo senza esserci debitore di nessuna ricompensa. Per pura Sua bontà invece si è degnato di destinarci come premio di averlo conosciuto, amato e servito in questa vita, la grazia di goderlo poi per sempre nell’altra vita, cioè in Paradiso. Vi sono molte cose che su questa terra ci recano godimento; i godimenti più preziosi sono quelli del cuore; amare i genitori e i parenti, ed esserne riamati, è una delle gioie più care. Quando un buon fanciullo sente dirsi dalla mamma: «Sei buono, e io sono contenta e ti voglio bene», prova un godimento che non si può esprimere a parole. Ebbene, Dio ci ha destinati a essere felici, a godere non solo tutti i beni, ma Lui stesso, nel Suo santo amore in Paradiso. Pratica. - Godere Dio in Paradiso è il premio che il Signore serba a coloro che in questa vita lo conoscono, lo amano e lo servono. Dovete dunque risolvere seriamente di trascorrere sempre la vita nell’amor di Dio e così rendervi degni di vederlo e di goderlo per sempre in Paradiso; questa è la sola cosa veramente necessaria. - Pensiamo agl’infelici che non conoscono il vero fine della vita; tra essi vanno i Missionari per istruirli Esempi. - A che serve la vita? - È il problema grave per tutti, pei credenti come pei miscredenti; il problema che assilla necessariamente ogni uomo che ragiona. Eppure è il problema che molti uomini - saggi e prudenti in tutto il resto - respingono da sé quasi con terrore. Non vogliono saperlo, anzi temono questo perché. Riferiamo una pagina magnifica che con tanto cuore il Card. Maffi, dopo il primo tentativo di suicidio dell’infelice Prof. Ardigò nel 1916, il quale lamentava, oppresso da quel problema: «a che serve la vita? lasciatemi morire!», scrisse: «Strano! Sulle sudate pagine una luce candida e tranquilla gli piove la vicina e amica lucerna; dal calamaio beve copioso l’inchiostro la penna, che poi dolce e rapida, sotto il dominio della sua mano, scorre e imprime sulla carta; - ed il filosofo sa a che gli servano la lucerna, il calamaio, la mano, la penna, la carta: non sa a che gli serva la vita ! - Il freddo, il calore, un bisogno di ristoro lo molestano? E aggiunge o leva degli abiti che lo rivestono; e modera, colle imposte, l’aria e il sole alle finestre; e ad una mensa siede, che convenientemente lo riconforta: - e il filosofo sa come gli abiti e la casa e il cibo gli servano a mantenere, a proteggere, a rinnovare la vita: non sa però a che gli serva la vita! - Sa che serve la notte al riposo, il giorno al lavoro; che servono le vacanze a ristorare le forze; l’anno scolastico agli studi, la prima età a crescere, la giovinezza all’educazione, alla cultura... Sa a che servano le frazioni, le età della vita; non sa a che serva l’intera, tutta la vita! Sa a che serva quanto è intorno lui; non sa a che serva lui! Sa che un rasoio può servire a troncare una vita; ma non sa il valore, il perché, la ragione della vita che si tronca; e questo dopo più di cinquant’anni d’insegnamento, dopo novant’anni di vita! E domanda di poter nel suo sangue annegar la sua vita, come cosa incresciosa, inutile, ingombrante, perché non sa a che serva la vita!». - Due anni dopo, l’infelice riuscì ad ammazzarsi! L’epitaffio dello stolto. - Un cortigiano di Borgogna, durante la sua vita non aveva mai pensato seriamente al suo fine, né alla salute dell’anima sua. Vi pensò, invece, seriamente (e, Dio voglia, in tempo) in punto di morte. Anzi, a rendere gli altri più saggi, dispose nell’ultima ora della sua vita che sulla sua tomba si incidesse questa iscrizione: «Qui giace uno stolto che è partito dal mondo senza avere ben conosciuto il perché ci fosse venuto». - Quanti, pur troppo, vivono e muoiono senza pensare al loro fine, senza sapere perché siano vissuti e dove vadano! Pellegrini e ospiti. - Un pellegrino chiese una sera ospitalità in un castello. Avutone rifiuto poiché, gli disse il castellano, il mio castello non è albergo, il pellegrino gli rivolse tre domande: «Prima di voi chi abitava il castello?... E prima di vostro padre?... E dopo di voi chi lo abiterà?». E soggiunse: «Se ciascuno di voi abita solo per breve tempo questo castello e se ciascuno lascia tosto il posto al successore, non è esso un albergo e non siete voi ospite? Pertanto, invece di impiegare le vostre ricchezze solo per ornare questo castello che vi dà ricovero per breve tempo, usatene anche per far del bene ai poveri e così vi preparerete una stabile dimora in cielo». Per mangiare riso. - Domandava un missionario ad un cinese che godeva nomea di saggio: «Ma perché siete al mondo?». Il cinese gli rispondeva: «Per mangiar riso». Voi ridete; ma quanti cristiani in mezzo a noi adottano, in pratica, il sentimento del cinese: Vivono per mangiare e bere, per accumulare roba, e talora per guazzare nel fango come certi animali che diciamo immondi. Perché lavorate? - Un giorno san Filippo incontrò alcuni giornalieri e li domandò perché lavorassero. E avuta la risposta che lavoravano per guadagnarsi il pane, per mantenere la famiglia, soggiunse loro: «Sta bene lavorare per guadagnare il pane e per mantenere la famiglia, ma bisogna anche lavorare per guadagnare il Paradiso: pane e Paradiso, se no, voi perdete il frutto principale delle vostre fatiche». Nota Apologetica. Il fine dell’uomo. 1° Nulla è così importante come ben conoscere il proprio fine e tendervi con tutte le forze. - 2° È doloroso constatare come molti uomini che studiano le più minute cose della vita e del creato, le loro proprietà, non si preoccupino poi per nulla del proprio fine, non si curino di sapere donde vengono, perché sono in questo mondo, e dove vanno. - 3° Altri dicono che ci siamo per godere. No; tant’è che i beni di natura non sono di tutti e che nulla appaga il cuore umano: non le ricchezze (quanti riescono a conseguirle? L’immensa maggioranza vive in povertà), non gli onori, non la scienza e neppure i piaceri sensibili. - 4° Quando una cosa non serve al suo fine, se ne fa getto; se avessimo la vita per godere, poiché essa ci dà molti dolori più che piaceri, quasi tutti la dovremmo violentemente troncare. - 5° Se ci fossimo per godere, sarebbe lecito e onesto ciò che procura soddisfazione, godimento, e quindi anche il furto, l’assassinio ecc. - 6° Il vero e solo godimento che soddisfa il nostro cuore è di vivere facendo la volontà di Dio e di possedere così la pace e la tranquillità della coscienza, il pegno della felicità immancabile, nel godimento di Dio nell’altra vita.
Per qual fine Dio ci ha creati? Dal Nuovo manuale del Catechista, mons. G. Perardi, L.I.C.E., Torino, 1939. SS n° 13, p. 6 - 7