Dio ha cura e provvidenza delle cose create, e le conserva e dirige tutte al proprio fine, con sapienza, bontà e giustizia infinita. Spiegazione. - 1. - Dopo averci insegnato che Dio è nostro Creatore, che noi siamo perché Dio ci ha creati, il Catechismo ci ha fatto conoscere molte cose intorno a Dio e alle Sue perfezioni; ora esso ci trattiene sui rapporti, se possiamo usare questa parola, che vi sono tra Dio e le cose create, e specialmente tra Dio e gli uomini, ossia sul fine (ragione, motivo) per cui Dio ha create tutte le cose e gli uomini e su quello che sarà degli uomini che corrispondono e di quelli che non corrispondono al loro fine. 2. - In questa prima risposta il Catechismo ci insegna che Dio, Creatore di tutte le cose, non le abbandona a se stesse, ma ne ha cura e provvidenza, cioè le conserva e dirige al proprio fine, con sapienza, bontà e giustizia infinita. Per Provvidenza s’intende l’azione costante di Dio sull’universo, per cui conserva le cose da Lui create - il che equivale ad una continua creazione - e dirige ognuna di esse al suo fine particolare, e l’universo intero al fine inteso nella creazione. L’ordine, la finalità e la costanza delle leggi naturali sono la miglior prova del governo e della Provvidenza divina nel mondo fisico, poiché se il mondo fosse in balìa del caso non ci sarebbe nessun ordine e nessuna costanza nell’operare della natura. Lo stesso si deve conchiudere dalla considerazione dell’ordine, della finalità e della costanza dell’operare della natura nel regno vegetale, animale, nel qual ultimo si rivela specialmente per il mirabile istinto particolare a ogni specie di animali. È proprio di ogni intelligenza operare per un fine e far tendere al fine proposto le proprie opere. Dio è spirito infinitamente sapiente; ogni opera Sua tende al fine stabilito. Negare la Provvidenza, dire che Dio abbia abbandonato il mondo al caso, è negare Dio, è negare tutti i suoi attributi di sapienza, di potenza, di giustizia, di bontà. 3. - Dio, infinita sapienza, ha creato le cose assegnando un fine generale a tutte le creature e ad ognuna di esse un suo fine particolare; non c’è cosa che non abbia il suo fine, voluto da Dio anche se noi non lo conosciamo sempre. Dio, infinita bontà, ha poi stabilito un fine superiore per le creature intelligenti: la loro felicità in cielo; infinita potenza, fa che questo fine a qualunque costo si raggiunga da chi lo vuol conseguire; infinita giustizia, vuole che il fine generale, che è la Sua gloria, sia raggiunto, e premierà tanto più generosamente quanto furono maggiori le difficoltà superate dalle creature intelligenti per cooperare al conseguimento di quel fine, e castigherà coloro che rifiutarono di corrispondervi. Dio ha segnato realmente un fine speciale a ogni creatura: al sole d’illuminare e riscaldare la terra; all’acqua di soddisfare ai bisogni degli uomini, innaffiando la terra, ecc; alla terra di produrre il necessario, se lavorata, alla vita degli uomini. Ogni cosa corrisponde al fine per cui fu creata: il sole illumina e riscalda la terra; l’acqua corre al mare, si eleva in forma di vapore nell’atmosfera, donde ritorna nuovamente in forma di pioggia o di neve sulla terra, alimentando i fiumi e le numerosissime correnti sotterranee che portano la fecondità e la vita alla terra e agli uomini; la terra, coltivata, ci nutre; gli animali seguono infallantemente l’istinto avuto; tutte le creature, ognuna nel suo stato particolare, raggiungono il fine che Dio ha loro assegnato. Noi non conosciamo sempre il fine di ogni cosa; quante cose per lunghi secoli furono riguardate come inutili, e solo più tardi si riuscì a capirne i vantaggi che se ne potevano ritrarre! Pratica. - Quanto è grande la provvidenza di Dio! Affidiamoci ad essa con abbandono filiale, facendo però di cuore ciò che Egli vuole da noi. - Mentre tutte le cose rispondono fedelmente al fine per cui Dio le ha create, non sia mai che noi, ribellandoci alla volontà di Dio, abbiamo a rompere questa mirabile armonia e perciò vogliamo anche noi e facciamo sempre e unicamente quello che Dio vuole da noi. Esempi. - Confessione di Coppée. - La sofferenza, nei disegni della Provvidenza, ha anche lo scopo di ricondurre a Dio l’uomo che se n’è allontanato o impedirgli di allontanarsi. Scrisse il Coppée nel suo libro Saper Soffrire: «a Uno dei miei amici, brillante poeta, dalla mente fantastica e sognante, che si era fatta una fede a sé tutta umana e filosofica, mi confidava, poco fa, la disfatta della sua fede filosofica. Sì, mi diceva egli, ho trascorso dieci anni della vita illudendomi che al di là non c’è nulla, che tutto è sogno e fantasia. Il mio sistema andava magnificamente; io era felice. Ma, poche settimane or sono, la mia fanciulla cadde ammalata; il dottore scuoteva il capo... ed io mi sono allora inginocchiato con mia moglie a pregar un Dio buono, un Padre celeste, il solo che poteva salvarmela in questo mondo o ricongiungerci nell’altro. D’allora, continua Coppée, io considero già questo mio amico come una recluta della grande famiglia di Cristo. E altri torneranno... verranno punzecchiati, diretti, spinti, avvertiti da una sofferenza fisica o morale che arriva all’improvviso per dir loro: Sono l’inviato di Dio che vi vuole con sé... per la vostra felicità e fortuna nella vita eterna che ben presto vi attende». Santa Teresa del Bambino Gesù aveva così ben compresa la missione provvidenziale della sofferenza cristianamente accettata, che diceva giornata perduta la giornata trascorsa senza sofferenza. Poco prima di morire diceva ancora: «Vi ringrazio, o Signore, di avermi fatta passare pel crogiuolo di tante sofferenze!». La risposta della madre. - La tempesta aveva portato via tutto il raccolto di un paese e la disperazione gravava in una famiglia di agricoltori, i quali bestemmiavano contro la Provvidenza. La vecchia madre disse: «Siete cattivi, figli miei, siete villani verso Dio. La tempesta vi ha portato via il grano, la biada, l’avena, il fieno e ne avete un grande danno; ma voi siete ancora vivi. Il temporale non vi ha portato via la vista, le mani, le braccia, la casa, i campi, e col lavoro e con l’economia in tre anni vi rifarete dei danni. Durante la mia vita, molte grandinate hanno scombussolato questa casa, ma in essa non è mai mancato il pane. Iddio è padrone dell’avvenire». Un figlio le rispose: «Non avete tutti i torti, o mamma, ma la tempesta è una cosa che non va e Iddio...». E la vecchietta: «Quante cose non vanno bene, o figlio mio ; non va la bestemmia: eppure bestemmiate. Non va la profanazione della festa: eppure voi passate le feste in campagna o all’osteria. Non va la scostumatezza, lo scandalo: eppure troppe volte io debbo chiudermi le orecchie ai vostri sozzi discorsi. Le tempeste, o cari, lavano un poco le famiglie non più pulite...». È proprio così. Due cortei funebri. - Due uomini vennero a morire nella stessa casa, lo stesso giorno: uno al primo piano, l’altro, su in una squallida soffitta. Al primo - vissuto come il ricco Epulone tra le ricchezze e i piaceri della vita e morto senza prete e senza Dio - si fecero solenni funerali. Tutta la città vi prese parte. L’altro, buono e povero come Lazzaro, venne, dopo, accompagnato in chiesa da pochi congiunti piangenti e preganti. Un eremita di passaggio nella città e testimone dei due successivi cortei, ne mosse lamento col Signore quasi che non fosse giusta la Sua permissione. E Dio, allora, gli mostrò due schiere d’angeli, invisibili al pubblico, una delle quali accompagnava il cadavere del povero, e l’altra ne portava al cielo l’anima beata, mentre invece i demoni si erano frammisti al primo corteo e lo guidavano. - Qual corteo vorreste per voi?... La Provvidenza. - In molte maniere, anche con miracoli strepitosi, Dio manifesta la sua Provvidenza, come vediamo nel Cottolengo a Torino, detto la «Piccola Casa della Divina Provvidenza», che accoglie e mantiene ben ottomila ricoverati ai quali non è mai mancato il necessario. Ma là si prega sempre Dio. Nota apologetica. La Provvidenza e i mali. Sono prosperati i malvagi? - L’insegnamento che il Catechismo ci dà in questa risposta, apre la via a una questione: «Come si può conciliare l’opera della Provvidenza di Dio coi mali così gravi e numerosi che colpiscono tanti uomini?». Ed è vero che i cattivi sono temporalmente, materialmente più fortunati? 1.- Quanto alla prima questione considerate: 1) L’esistenza del male fisico, sia che provenga dalla cattiva volontà degli uomini, sia da altre cause o disgrazie, non dice nulla contro la Provvidenza. Sono buone le leggi naturali anche se da esse ne conseguono talvolta dei danni e del male alle creature ; è cosa in sé buona il fuoco che brucia, anche se talvolta degenera in incendio. E non sarebbe conveniente che Dio intervenisse sempre con azione diretta e soprannaturale per impedire conseguenze e cattive e funeste. - 2) Per dire che le disgrazie, le sofferenze, i mali terreni, in una parola il dolore - sotto qualunque forma si presenti e qualunque ne sia la causa immediata - si oppone alla Provvidenza, bisognerebbe dimostrare che impedisce all’uomo il conseguimento del suo ultimo fine. Invece, se viene sopportato con rassegnazione e pazienza, diviene il mezzo più sicuro per conseguirlo. Se il fine della vita fosse il godere terreno, il dolore terreno sarebbe un controsenso; esso non può essere spiegato se non lo si considera in relazione alle ultime finalità della vita. - 3) Del resto bisogna ricordare che il disegno di Dio sulla vita terrena dell’uomo è stato guastato dalla colpa; che ora l’uomo nasce in stato di peccato, portando le conseguenze del peccato dei progenitori - che peccarono non come individui, ma come principio e padri di tutta l’umanità - di cui Dio rispettò la libertà come la rispetta in noi e negli altri uomini, l’abuso della quale porta sofferenze che la Provvidenza sa indirizzare al conseguimento dell’ultimo fine dell’uomo; che incorporati a Gesù Cristo per il Battesimo non possiamo pretendere di avere su questa terra una condizione di privilegio mentr’Egli è il crocefisso; che le sofferenze debbono lavorare in noi più perfetta l’immagine di Gesù crocefisso che a tutti dice: «Chi vuol venire dietro di me, rinneghi se stesso, prenda ogni giorno la sua croce e mi segua» (San Matteo XVI,24; San Luca IX, 23). 2.- Quanto all’altra questione, e che cioè i malvagi siano più fortunati dei buoni, riflettete: 1) I cattivi e i buoni partecipano ugualmente dei beni e dei mali terreni; questi sono comuni a tutti; onde si vede che dei buoni taluni sono ricchi, taluni sono poveri; taluni fortunati, altri sfortunati. - 2) Vi sono dei beni proprii dei cattivi. Il ladro che riesce a farla franca, acquista certamente beni materiali; godrà dell’ozio, dei divertimenti e piaceri a cui si abbandona; ma d’altra parte i malvagi hanno pure mali loro proprii: come ad esempio in generale le prigioni, certe gravi e diffuse malattie, la disunione in famiglia, lo scialacquo dei patrimoni, ecc. - 3) Se Dio li prospera in qualche cosa, non è certo in premio delle loro colpe, ma di talune virtù ed opere buone che non potrà premiare nella eternità e per invitarli a pentimento e conversione.- 4) Così non lascia nella sventura il giusto perché tale, ma in punizione delle colpe in cui anch’egli cade, come esercizio più perfetto di virtù, come mezzo di distacco più perfetto dal mondo e di maggior merito pel paradiso. Giuseppe Giusti osservava: «Io, che non nego la Provvidenza, credo che Essa dia appunto i solenni insegnamenti del dolore a chi è capace di sentirli, perché dal dolore, dal solo dolore nascono le grandi cose, e sorgono i forti caratteri, come il flore dalla spina. Nella gioia, l’uomo è sbadato, imprevidente, infecondo; le belle qualità dell’animo e della mente o non sono, o non si palesano negli uomini felici: una sventura le fa scintillare, come l’acciaio la pietra focaia» (Epist., vol. I, p. 126). E al giusto stesso bene spesso la virtù fu via alla fortuna terrena, come a Giuseppe il casto, a Davide, a Tobia, ecc. - 5) Non si può giudicare della Provvidenza in rapporto alla condizione dei buoni e dei cattivi quaggiù, se non si parte dalle verità essenziali che qui siamo in stato di prova; che giustizia perfetta Dio la farà di là; che qui si semina e di là si raccoglierà; che molte sventure e povertà sono conseguenza di colpe proprie o altrui. Dio tollera le cause prossime come le cause remote del male; nella sua Provvidenza indirizza tutto al miglior bene di ogni persona. Fortunato chi sa prendere e accettare tutto in rapporto all’ultimo suo fine. Osservava il Mamiani stesso: «Se il mistero del male è cupo e doloroso, per noi havvi una parola taumaturga che ne sperde le apparenti contraddizioni, e riconduce nella mente e nel cuore la serenità e la pace. Io vo’ dire la suprema parola, Immortalità. Che peso hanno, di grazia, tutti i mali fisici e le sofferenze di questa vita a comparazione della vita immortale avvenire? Quei mali e quei patimenti, a petto di una durata senza termine, sono mere adiacenze di un ordine subalterno e parziale, e apparecchi e preformazioni così indeclinabili quanto transitorie» (Filosofie delle Scuole, Roma, 1875, p. 215. - Cf. anche a pag. 73 Sull’Istruzione religiosa). - Con quanta ragione cantava G. Salvadori: «Gioite, o giusti! Inutile dolore non è per voi la vita; vinta è la morte ond’è spezzato il cuore da una pietà infinita. Il luminoso Spirito soave che ascoso in voi v’affina muta il dolore paziente e grave in melodia divina».
Dio ha cura delle cose create? Dal Nuovo manuale del Catechista, mons. G. Perardi, L.I.C.E., Torino, 1939. SS n° 12, p. 6 - 7