Per questi motivi, vi sono anime forti e fiere, ma non credenti, che hanno scelto un’altra via e si sforzano di organizzare se stesse dal punto di vista del loro io. Certo: il nostro piccolo io, se può apparire infinitamente piccolo, però, nota Pascal, sente la sua superiorità dinanzi a quell’infinitamente grande, che è l’universo materiale. Ed il far centro se stessi di tutto; il non lasciarsi dominare dagli splendori esterni, ma il dominarli; il voler rimanere saldi con Marco Aurelio dinanzi alle vicende come «un promontorio, contro il quale incessantemente s’infrangono le acque»; l’essere superiore in nome del «genio interno» al piacere od alla pena, per finire un giorno la vita - è sempre l’autore dei Ricordi che parla - «come oliva matura che cada, benedicendo la terra che la portò e ringraziando l’albero da cui fu generata», può essere una visione ed un programma a prima vista affascinante per uno spirito nobile ed alto. Ma anche questo sforzo di organizzazione interiore non basta. Noi non siamo l’Assoluto; non siamo il promontorio saldo. Il piccolo io umano è debole, si muta, spesso si trova tuffato nelle tenebre; e, pur affermando se stesso, non solo è sbattuto dall’ondata amara della disillusione, ma sente la sua fragilità e la sua insufficienza. Dopo anni di battaglia, non può a meno di ripetere la parola sconsolata d’un positivista, di Roberto Ardigò, che, tagliandosi la gola con un rasoio, mormorava: «A che serve la vita?». La tristezza - lo ha riconosciuto persino Gaetano Negri - si trasfonde in ogni osservazione, in ogni parola di Marco Aurelio, e, noi soggiungiamo, di ogni stoico antico o moderno; è la tristezza «che colora di un grigio uniforme tutto il mondo, anche nelle sue più varie e più vaghe manifestazioni». Mai, come oggi, si volle fare dell’uomo un Dio, che dà a se stesso la sua legge; ma mai, come oggi l’uomo appare un idolo falso e bugiardo, dal piedistallo tremante, che, in mezzo alle sue autoglorificazioni, mostra la sua miseria. Ecco perché sant’Agostino, con una espressione profonda, da mille ricantata, ma da pochi compresa, ha scritto: Uomo, non uscire fuori di te, noli foras ire; rientra in te stesso, in te ipsum redi; e trovandoti soggetto alla mutazione ed alla relatività, trascendi te stesso, transcende te ipsum, organizza la tua vita prendendo a centro Dio. È ben questo il compito della religione: si è religiosi, o meno, secondo che si organizza tutta la propria esistenza, tutta la propria attività, dal punto di vista di Dio, al quale si subordinano le cose ed il proprio io. Non basta avere il nome scritto sui registri di battesimo per essere davvero credenti. La religione è una soluzione del problema della vita, ed una soluzione completa, che non trascura neppure il minimo gesto, il minimo atto, il minimo istante della nostra operosità. La conversione verace, seria, significa una rivoluzione nella propria vita, una organizzazione di essa dal punto di vista di Dio. E tutto questo volume non sarà altro che un chiarimento, una spiegazione di una tale soluzione: noi vedremo in qual modo il cristiano organizza la sua vita e cercheremo come egli, a differenza degli altri, risolva il suo problema. Se qualcuno scorrerà queste pagine e si sentirà agitato nel suo cuore, perché finora ha sciupato i suoi anni, ricavandone frutti amari di noia, di ribrezzo, di rimorso; se il pensiero dell’avvenire, della morte inesorabile che tutti ci attende e verso la quale corriamo con piede veloce, lo turba; se sente il bisogno di vivere, di vivere una vita degna di questo nome, rievochi le splendide pagine del nostro Manzoni intorno alla notte dell’innominato. Una specie di terrore, una non so qual rabbia di pentimento, l’immagine viva di Lucia nella mente e le parole ancora risonanti all’orecchio, lo tormentavano, lo stizzivano, lo perseguitavano. «A che cosa son ridotto! - esclamava - Non sono più uomo, non sono più uomo!... Via! - disse poi, rivoltandosi arrabbiatamente nel letto, divenuto duro duro, sotto le coperte divenute pesanti: - Via! sono sciocchezze che mi so passate per la testa altre volte. Passerà anche questa». Vana speranza! Si schieravano nella sua fantasia imprese e malandrini e «si trovò ingolfato nell’esame di tutta la sua vita. Indietro indietro, d’anno in anno, di impegno in impegno, di sangue in sangue, di scelleratezza in scelleratezza: ognuna ricompariva all’animo consapevole e nuovo, separata dai sentimenti che l’avevano fatta volere e commettere; ricompariva con una mostruosità che quei sentimenti non avevano allora lasciato scorgere in essa. Erano tutte sue, erano lui; l’orrore di questo pensiero, rinascente a ognuna di quelle immagini, attaccato a tutte, crebbe fino alla disperazione. S’alzò in furia a sedere, gettò in furia le mani alla parete accanto al letto, afferrò una pistola, la staccò, e... al momento di finire una vita divenuta insopportabile, il suo pensiero sorpreso da un terrore, da una inquietudine, per dir così, superstite, si slanciò nel tempo che pure continuerebbe a scorrere dopo la sua fine. S’immaginava con raccapriccio il suo cadavere sformato, immobile, in balìa del più vile sopravvissuto; la sorpresa, la confusione nel castello, il giorno dopo: ogni cosa sottosopra: lui, senza forza, senza voce, buttato chi sa dove. Immaginava i discorsi che se ne sarebbero fatti lì, d’intorno, lontano; la gioia dei suoi nemici... E assorto in queste contemplazioni tormentose, andava alzando e riabbassando, con una forza convulsiva del pollice, il cane della pistola; quando gli balenò in mente un altro pensiero. - Se quell’altra vita, di cui m’hanno parlato quand’ero ragazzo, di cui parlano sempre come se fosse cosa sicura; se quella vita non c’è; se è un’invenzione dei preti, che faccio io? perché morire? cos’importa quello che ho fatto? cosa importa? è una pazzia la mia... E se c’è quest’altra vita!... - A un tal dubbio, a un tal rischio, gli venne addosso una disperazione più nera, più grave, dalla quale non si poteva fuggire, neppure con la morte. Lasciò cadere l’arma, e stava con le mani nei capelli, battendo i denti, tremando... ed ecco, appunto sull’albeggiare... sentì arrivarsi all’orecchio come un’onda di suono non bene espresso, ma che pure aveva non so che d’allegro. Stette attento, e riconobbe uno scampanare a festa lontano... Saltò fuori da quel covile di pruni; e vestitosi a mezzo, corse ad aprire una finestra... ». Era arrivato in quelle parti il buon Pastore ed attendeva la pecorella smarrita. Anche oggi, come sempre nel passato, la religione a tutti coloro, la cui vita è stata avvolta da tenebre oscure ed agitate, fa giungere l’invito delle sue campane: «La notte è trascorsa; è spuntato il giorno bello; aprite le finestre; guardate; informatevi; seguite la voce di Dio, che vi chiama ed aspetta».
Riepilogo. Tutti, anche se non ci pensano, risolvono il problema della loro vita, in quanto non si può a meno di vivere se non in un modo o in un altro. Le soluzioni del problema si possono ridurre a due: a) Vi è la soluzione atomistica, ossia la vita disorganizzata di coloro che non collegano e non ispirano le loro azioni con un unico principio informatore. b) V’è la soluzione organica, ossia la vita organizzata secondo un determinato principio. In questo secondo caso, nell’organizzare la propria vita, si può prendere una triplice via; vale a dire: a) si può organizzare la vita secondo un principio esteriore, ponendo a centro gli onori, le ricchezze, i piaceri, ossia l’oggetto; b) si può organizzare la vita secondo un principio interiore, ponendo a centro il proprio io, ossia il soggetto; c) si può organizzare la vita secondo un principio divino, ponendo a centro Dio. Le prime due vie sono errate. Dobbiamo seguire la terza. Ed è per questo che l’attuale ignoranza della religione è delittuosa: non conoscere a fondo il Cristianesimo significa trovarsi nell’impossibilità di risolvere il problema della vita. Qual è, dunque, la soluzione cristiana di tale problema? Prima di enunciarla, occorre premettere qualche nozione intorno all’ordine naturale ed all’ordine soprannaturale.
Il problema della vita. La vita organizzata - Parte 2. Da Il Sillabario del Cristianesimo, mons. F. Olgiati, Vita e Pensiero, Milano, 1942. SS n° 5, p. 3 - 4