V’è un’altra strada, battuta dalla schiera di coloro che vivono la loro vita organicamente, che organizzano cioè la loro attività in modo che, come le molte lettere e parole di un libro costituiscono un unico libro, così la molteplicità svariatissima delle loro azioni costituisca un unico tutto coerente. Ad uno sguardo superficiale ciò che troviamo in una persona che vive organicamente è pressappoco identico alle vicende di altre persone che vivono atomisticamente. Ma la differenza è essenziale. Anche in un giornale quotidiano si discorre di fascismo, di politica estera, di Ceco-Slovacchia e di Stati Uniti, di moda femminile, di cavoli e talvolta non mancano suggerimenti per il pranzo del giorno; eppure, quale diversità d’impressione dà il giornale, che raccoglie tutte le notizie da un punto di vista speciale, - tanto che lo stesso materiale in un altro quotidiano assume un colorito differente, - ed il ciarlatano al quale abbiamo accennato! Chiunque vuol concludere qualche cosa nella sua vita, organizza se stesso; solo le persone energiche, gli individui di carattere, coloro che riescono a segnare un’orma, che non si lasciano trascinare, ma trascinano, che non procedono per moto d’inerzia o sospinti come vagoni, ma che vogliono essere e sono locomotive, solo costoro trionfano. Qualche esempio pratico - scrivevo nei Primi lineamenti di pedagogia - illustrerà il nostro pensiero. Un uomo vive per gli affari e di essi fa il suo centro d’attività. Egli non vive atomisticamente, ma organizza tutti i suoi gesti in funzione della sua azienda. Passeggia in casa, guarda, ora sorride, ora urla e sgrida, ora scrive dei numeri, ora stende delle lettere; ma tutto ciò è organizzato in vista del guadagno. Entra un viaggiatore, lo accoglie, va magari al caffè insieme, lo invita a pranzo; ma tutto ciò per uno scopo: un contratto di vendita o di compera, a breve o a lunga scadenza. Si reca al teatro e discorre d’affari; legge il giornale e si preoccupa anche delle novità politiche, ma sempre in relazione ai suoi interessi; va a riposo e pensa alla modificazione d’una macchina, alla pigrizia d’un impiegato, alla conquista d’un buon operaio; dà magari al parroco una somma per i restauri della chiesa, ma anche questo gesto ha uno scopo... economico. In somma, egli organizza la sua vita dal punto di vista degli affari... Una donnicciuola del Paese di cuccagna organizza anch’essa la sua vita; ed il suo centro direttivo sarà il giuoco del lotto. Anch’essa segue gli avvenimenti politici, sociali, individuali; prega i suoi santi; digiuna magari; si interessa persino dei sogni delle comari della sua città; ma tutto riferisce all’ambo ed al terno. Così si dica di un artista; così di un uomo politico, che aspira a giungere a Montecitorio o al portafoglio ministeriale; così di una ragazza in cerca di marito, e che, non sapendosi dar pace finché ne ha trovato uno, si serve del vestito, del pianoforte, della conversazione, del ballo, della gentilezza dei modi, dello sguardo, di tutto, per giungere alla realizzazione del suo sogno. Così si ripeta di una brava mamma, che vuol governare la sua casa ed educare i suoi figli ed ogni cosa dirige a questo scopo: dalla preghiera alla parola di rimprovero, dal lavoro in cucina e per la pulizia, al passeggio, al sollievo, al sacrificio. In una parola, chi si afferma nel campo del bene o del male, si tratti di un capo brigante, o di un vizioso ossessionato dalla sua passione, di un Cottolengo o di un Don Bosco, vivono organicamente, hanno un’idea centrale che domina la loro esistenza, simile al fuoco in cui convergono tutte le luci e da cui partono tutti i raggi. E che altro insegnano i volumi dello Smiles sul Volere è potere e le grosse fortune dei miliardari americani o di ogni e qualsiasi self-made-man, di ogni uomo, cioè, che ha creato la sua vita? Le tre possibili organizzazioni della vita. Si noti: la strada di una vita organica, pur avendo un unico principio iniziale, si divide subito in tre grandi vie, che occorre nettamente distinguere e che non possono essere se non tre. Poiché, come insegnano i filosofi, solo si possono concepire queste tre cose: a) il non-io, ossia le cose esteriori; la natura e tutto ciò che non è il mio io, come le ricchezze, la gloria e via dicendo; b) l’io, ossia l’uomo, la sua vita intima, o, meglio, la sua vita interiore; c) Dio, che non può esser confuso né con la natura né con l’uomo, né con l’individuo né con le cose, né col soggetto né coll’oggetto. Altri punti centrali, altri orientamenti, perciò, non si possono neppure immaginare, all’infuori dei seguenti: a) si può organizzare la propria vita con un principio esteriore, vivendo du dehors - direbbero i francesi, - al di fuori; b) si può organizzare la propria vita con un principio interno, vivendo du dedans, al di dentro, ossia subordinando anche le cose esterne alle esigenze d’una vita interiore; c) si può organizzare la propria vita scegliendo a principio unificatore Dio, e subordinando a Lui sia la nostra attività esterna, come la nostra vita intima. Non è difficile percepire che le prime due vie sono insufficienti e che vale la pena di esaminare la terza. 1. Innanzi tutto, la vita vissuta du dehors non basta. Prescindiamo pure dal fatto dei molteplici fallimenti e degli insuccessi che avvengono, poiché si sa benissimo che non tutti gli aspiranti alla medaglietta la conquistano o la tengono in eterno, non tutti gli artisti riescono a creare il capolavoro, e via dicendo. Insieme ad un vincitore che celebra il suo trionfo, vi sono tanti vinti. Accanto al Campidoglio, la rupe Tarpea! Non sempre si può ciò che si vuole; anche le volontà tenaci e ferree spesso s’infrangono contro la dura realtà. È sempre pericoloso limitarsi ad organizzare la vita dal punto di vista delle cose esteriori! C’è di peggio. Anche nell’ipotesi benigna d’un successo incontrastato ed incontrastabile, senza pericolo di cadute, il cuore umano non ne resta mai soddisfatto. Chi ha raggiunto una vetta, aspira ad un’altra più alta; come nelle corse ciclistiche o automobilistiche non si dice mai «basta» nella velocità e chi ha divorato tanti chilometri all’ora, ne vuol divorare di più in una prossima occasione, così nella corsa alla ricchezza, alla gloria, al piacere, non si è mai sazi. Quanto maggiormente si riesce, tanto più energica è la spinta a procedere più oltre; e spesso è più intensa l’insoddisfazione, il disgusto, il senso della vanità delle cose. Chi ha l’esperienza della vita e non si culla con giovanile leggerezza in fantasie utopistiche, sa la tristezza atroce della carne immonda quando la fiamma del desio nel gelo del disgusto si spegne; sa l’insoddisfazione di chi è riuscito a por le mani audaci e cupide su ogni dolce cosa tangibile. La lotta per la vita, per acciuffare cioè la fortuna, il successo, i titoli di banca, come appare, dopo che si è arrivati? È stato giustamente risposto da Blondel: «Due cani azzuffantisi per un mucchio di spazzature, in cui nulla trova il vincitore. E disillusi a questo modo non sono soltanto coloro che invecchiano e muoiono nell’incanto delle bagatelle senza esser mai scesi sotto la superficie dei loro sensi, ma i migliori, i più provati, i più competenti, gli uomini d’azione trionfante e d’ardente pensiero». Che se anche si volessero ritenere esagerate queste tinte, su cui pure così eloquente è il consenso, se anche si volesse ammettere che una persona gode, è sazia, è felice nel suo trionfo esteriore, c’è sempre un’ombra terribile e sciagurata, che turba ed avvelena ed uccide ogni gioia: l’ombra della morte. Nessuno meglio di P. Gratry nei suoi Souvenirs de ma jeunesse ha descritto lo stato d’animo di chi, vivendo du dehors, guarda in faccia a questa trista megera, madama Morte. Era giovane; era pieno di salute, di confidenza, di letizia. Finite le vacanze, una sera d’autunno rientrava il Gratry in collegio. Seduto sul suo letto, si tuffò in mille riflessioni deliziose sull’anno classico che stava per aprirsi. E subito cominciò nella sua anima questo discorso: «Eccomi al secondo anno di retorica. Sono il primo della mia classe e del mio collegio, e forse il primo di tutti gli scolari di Parigi. Conseguirò il premio d’onore? Non potrò forse avere tutti i primi premi al concorso generale? Tutti, è difficile; ma tre o quattro, sì, è possibilissimo. L’anno venturo, in filosofia, avrò probabilmente il premio d’onore. In seguito, studierò legge. Sarò io il primo fra gli studenti di diritto? Avrò tanta e maggior scienza ancora ed ingegno di colui che ne avrà di più? Perché no? Lo vedo di già: gli uomini lavorano poco; pochissimi uomini hanno volontà, perseveranza, energia. Regna una mollezza ed un’atonia generale. Dunque io vincerò, se lo voglio, a forza d’ardore, di lavoro e di tenacità. Imparerò a parlare ed a scrivere... Sarò avvocato, un ottimo avvocato... Conquisterò una bella posizione ed una grande fortuna. Ma un mestiere non basta. Occorre qualcosa di meglio e di più grande. Bisogna fare qualche cosa di bello. Io scriverò qualche opera. Ah! ma a qual livello letterario questa opera mi porrà? Giungerò all’Accademia francese? Senza dubbio. Ma ancora: a qual grado di gloria? Sarò come Laharpe o Casimir Delavigne? Sarebbe bene... ma forse non è abbastanza... Sarò come Voltaire, Rousseau, Racine, Corneille, Pascal? Oh, questo forse è troppo ambizioso. Del resto, non si sa mai... Ecco dinanzi a me un bell’avvenire. Quale fortuna! Coraggio! coraggio!... Mio padre, mia madre e mia sorella saranno felici. Avrò degli amici. Compererò una casa di campagna vicino a Parigi. Mi sposerò. Oh! quale scelta! e quale amore!». Il sogno era incantevole. Egli vedeva persone, cose, avvenimenti, luoghi; vedeva il suo castello, i suoi amici, la sua famiglia, la bella ed ammirabile compagna della sua vita, i suoi figlioli, le gioie, le feste, la felicità intima e condivisa, «Tutta la felicità possibile della terra era concentrata là. Ma tale contemplazione aveva il suo progresso. Tutto andava sempre di bene in meglio: ed io - continua egli - dicevo sempre: - Ancora! ancora! e dopo? e dopo? - Così non poteva impedirmi di vedere che alla tale epoca della mia felicità, avrei la tale età; e cominciai a pensare che mio padre sarebbe morto in quel tempo... Mia madre gli sopravviverebbe, ma forse non più di dieci anni. E se mia sorella morisse prima di me! E se il tale ed il talaltro morissero! Se io venissi a perdere mia moglie!... Si sono visti uomini sopravvivere a tutti i loro amici, a tutta la loro famiglia, anche ai loro figli!... Oh, come dev’essere triste! - Il sole splendente, che, un momento prima, indorava la mia immaginazione, cominciava a dare una luce tutta diversa. Una nube larga e nera passava dinanzi al sole. Tutto impallidiva, e fu inevitabile dire: Dopo tutto questo, anch’io morrò! Verrà un momento in cui sarò disteso su di un letto, mi dibatterò per morire, e morirò, e tutto sarà finito... Non più sole, non più uomini! più nessuno! più nulla!... Ecco dunque la vita! Tutti nascono e muoiono così! Dall’inizio del mondo sino alla fine, sarà così! Le generazioni si succedono e passano in fretta: ciascuno vive un istante e scompare, È spaventevole!... Ed io vedevo queste generazioni passare e sparire, come mandrie che vanno al macello senza pensarci, come le onde di un fiume che si avvicina ad una cateratta, dove discendono tutte a loro volta, ma per restare sotterra e per non rivedere più il sole. Vedevo delle piccole onde, in questo fiume, sorgere e sporgere un istante, e durante la durata d’un battere d’occhio, riflettere un raggio di sole, e poi immergersi. Questa onda sono io; quelle che le stanno accanto, sono gli esseri che io ho amato; ma tutto è già rituffato nella voragine. A tale vista, rimasi immobile e quasi inchiodato dallo stupore e dal terrore». Fu allora che Gratry rientrò in se stesso ed invocò il Dio dimenticato dei suoi giovani anni. Se qualcuno gli avesse sussurrato all’orecchio: «basta organizzare la vita du dehors», egli l’avrebbe compassionato e gli avrebbe indicato la morte, che recide ogni speranza, ogni fiore, ogni sogno. ...
Il problema della vita. La vita organizzata - Parte 1. Da Il Sillabario del Cristianesimo, mons. F. Olgiati, Vita e Pensiero, Milano, 1942. SS n° 4, p. 3 - 4