Chiaramente affermata dai testi del Nuovo Testamento (Atti 2, 24, 27-31; I Petr. 3, 19 s.; 4, 6), questa verità si trova formulata fin dal IV secolo nel Simbolo dove fu introdotta senza contrasti e senza intenzioni polemiche. Avendo Cristo accettato con la Incarnazione le condizioni inerenti alla natura umana - fatta eccezione per il peccato - dopo la morte, tra il momento della sua morte e quello della resurrezione, la sua anima è andata al soggiorno dei morti. L’«Inferno» - il latino usa, molto meglio, il plurale: Inferi - indica, appunto, il luogo dove si trovavano i defunti in stato di beatitudine naturale e in attesa della Redenzione che loro permettesse l’ingresso nel Paradiso. È da notarsi, però, che, durante i tre giorni di permanenza del corpo di Cristo nel sepolcro, mentre l’anima abbandonò il corpo, la divinità non si separò mai né dall’anima né dal corpo, per conseguenza Cristo scese agli Inferi con l’anima e la divinità (DB, 429). Nell’oltretomba, Gesù annunziò ai giusti dell’Antico Testamento l’avvenuta redenzione. I testi biblici sopra citati presentano varie difficoltà d’interpretazione e la tradizione patristica non sempre è unanime nel determinarne il senso. Gli Apocrifi sono molto ricchi di discutibili particolari sull’attività di Cristo nel Limbo dei Padri, ma il domma è chiaro nelle sue linee essenziali. Inferi = Seno di Abramo = Limbo dei padri o Limbo dei giusti.
Dal «Dizionario di teologia dommatica», Pietro Parente, Antonio Piolanti, Salvatore Garofalo, Editrice Studium, Roma, imprimatur 6 giugno 1952.