L’espressione ricorre nelle due lettere di San Paolo a Timoteo (I Tim. 6, 20; II Tim. 1, 14) ed è in rapporto con l’idea di dottrina della fede. Il deposito che San Paolo trasmette al suo fedele collaboratore è l’insieme della Rivelazione divina (I Tim. 6, 1; 4, 6) di cui fan parte: i dommi (o dogmi), la morale, i Sacramenti, la Sacra Scrittura, l’ordinamento gerarchico della Chiesa. La nozione giuridica di deposito importa che esso non sia di proprietà di colui che lo custodisce ma di chi glielo ha consegnato perché venga conservato integro. Il «deposito della fede» è venuto da Dio ed è affidato ad (alcuni) uomini ai quali è assicurata una particolare assistenza dello Spirito Santo (II Tim. 1, 14), a coloro che succedono agli Apostoli nel Magistero e nel Ministero. Cristo ha trasmesso il «deposito» il cui contenuto non può essere soggetto ad alterazioni. Il privilegio della infallibilità nella custodia del «deposito» compete alla Chiesa «colonna e fondamento della verità» (I Tim. 3, 15); l’infallibilità personale è esclusiva di Pietro, fondamento della Chiesa (Mt. 16, 18), e dei suoi successori nel primato apostolico. Custodire il «deposito» non significa, però, sotterrarlo, come il servo vituperato della parabola fece con i talenti del padrone (Mt. 25, 14-30; Lc. 19, 11-27). La Chiesa trova nel «deposito della fede» le ricchezze che comunica ai suoi figli, le armi con le quali combatte i suoi avversari (...) con mirabile sapienza (in ogni tempo, ndr) ...
Dal «Dizionario di teologia dommatica», Pietro Parente, Antonio Piolanti, Salvatore Garofalo, Editrice Studium, Roma, imprimatur 6 giugno 1952, pagina 95.