Siccome questa volontà di obbedienza congiunta a forza e carattere e a costanza è necessaria a tutti i cristiani, affinché in qualsiasi circostanza «non siano carenti in nessuna cosa» (Gc. 1,4), Noi vorremmo che nell’animo di tutti fosse radicata quella che Paolo chiama «la prudenza dello spirito» (Rm. 8,6). Questa, nel moderare le azioni umane, segue l’aurea regola del giusto mezzo, facendo sì che l’uomo non si disperi per paura, o troppo presuma per temerarietà. C’è anche differenza tra la prudenza politica, che riguarda il bene comune, e quella che riguarda il bene personale di ciascuno. Quest’ultima è propria di ogni privato, che nel governo di se stesso segue i dettami della retta ragione. L’altra è quella dei governanti, soprattutto dei sovrani, il cui compito è di governare validamente; così come la politica dei privati è tutta impostata sulla prudenza, quella del potere legittimo è di eseguire fedelmente i decreti . Questa disposizione e quest’ordine tanto più devono valere nella società cristiana, in quanto la prudenza politica del Pontefice abbraccia tanti settori. Infatti egli non solo deve reggere la Chiesa, ma dirigere dovunque le azioni dei cittadini cristiani, affinché si conformino alla speranza di ottenere la vita eterna. Da questo risulta chiaramente che oltre una somma concordia di pensieri e di opere, essi devono conformarsi nell’agire alla sapiente politica del potere ecclesiastico. Il governo della società cristiana, dopo il romano Pontefice e secondo le sue direttive, spetta ai Vescovi, i quali anche se non hanno la pienezza del potere pontificio, tuttavia nella gerarchia ecclesiastica sono autentici principi e nell’amministrazione della propria Chiesa sono «per così dire i principali costruttori... dell’edificio spirituale», ed hanno come coadiutori nel loro ufficio ed esecutori dei loro ordini i sacerdoti. A questa struttura della Chiesa che nessun mortale può cambiare, bisogna adattare l’azione della vita. E come è necessaria per i Vescovi l’unione con la Sede Apostolica, così i chierici e i laici devono vivere e operare in perfetta unione con i Vescovi. Può accadere di trovare qualcosa di poco lodevole in qualche Vescovo, sia nei costumi, sia nelle opinioni: ma nessun privato deve arrogarsi la funzione di giudice, perché questo potere Cristo Signore lo diede soltanto a colui cui affidò gli agnelli e le pecore. Tenga ben presente ciascuno le sapientissime parole di Gregorio Magno: «I sudditi devono essere ammoniti a non giudicare temerariamente la vita dei loro superiori, anche se forse vedono in loro qualcosa di riprovevole, affinché mentre giustamente riprovano il male, essi per orgoglio non cadano più in basso di loro. Devono essere ammoniti che, considerando le colpe dei loro superiori, non diventino arroganti contro di essi, ma se le loro colpe sono molto grandi, le giudichino entro se stessi, in modo che per l’impulso del timore di Dio non ricusino il dovere della obbedienza... Le azioni dei superiori non devono essere ferite con la spada della lingua, anche quando sono giustamente da condannare». Ma tutti questi sforzi giovano poco se non viene intrapresa una condotta di vita conforme alla morale cristiana. È della Sacra Scrittura quella sentenza sul popolo ebreo: «Finché non peccarono al cospetto del loro Dio avevano molti beni, perché Dio odia la loro iniquità. Quando abbandonarono la strada che Dio aveva loro insegnato perché in essa camminassero, furono sterminati in battaglia da molti popoli» (Gdt. 5,21-22). La nazione Giudaica portava in sé la figura del popolo cristiano: nelle sue antiche vicende c’era il preannuncio di realtà future; sennonché avendoci la bontà divina arricchiti e ornati di molti e maggiori benefici, la colpa dell’ingratitudine rende ancor più gravi le colpe dei cristiani. Prosegue ...
Leone XIII, «Sapientiae christianae». L’obbedienza che si deve ai superiori
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- Categoria: Centro Studi Vincenzo Ludovico Gotti