Errore grande e deleterio è escludere la Chiesa, che Dio stesso ha fondato, dalla vita pubblica, dalle leggi, dall’educazione dei giovani, dalla famiglia. Non possono esservi buoni costumi in una società cui sia stata tolta la religione: e si sa ormai anche troppo bene in che consista, e a che porti quella filosofia di vita e di costumi che chiamano civile. La Chiesa di Cristo è vera maestra di virtù e custode della buona condotta: essa è colei che mantiene fermi i principi dai quali derivano i doveri, e che, esposti i più efficaci motivi per vivere virtuosamente non solo ammonisce a fuggire le azioni malvagie, ma a controllare altresì i moti dell’animo contrari alla ragione, anche quelli che non sfociano in azioni concrete. È davvero una grande ingiustizia e una grande sconsideratezza il volere sottoporre la Chiesa all’autorità civile nell’adempimento dei suoi doveri. Con ciò l’ordine viene sovvertito, dal momento che si antepongono le cose naturali alle soprannaturali: si distrugge, o almeno si sminuisce assai la dovizia di beni dei quali, se non ostacolata, la Chiesa colmerebbe la vita terrena; per di più si apre la via ad ostilità e conflitti, e fin troppo spesso gli eventi hanno dimostrato quanto danno ciò porti sia alla società civile, sia a quella religiosa. Siffatte dottrine, che nemmeno dalla ragione umana possono essere approvate, e che tanto peso hanno sull’ordinamento civile, i Pontefici romani Nostri Predecessori, ben comprendendo quale fosse il loro dovere apostolico, non consentirono che potessero circolare impunemente. Così Gregorio XVI nell’Enciclica Mirari vos del 15 agosto 1832 colpì con parole durissime quelle teoriche che già venivano diffondendosi e secondo le quali non è necessario operare una scelta in materia di religione: è diritto di ciascuno professare qualsiasi fede gli aggradi; per ciascuno il solo giudice è la coscienza; inoltre è lecito proclamare qualsiasi opinione, e ordire rivolte contro lo Stato. Circa la separazione della Chiesa dallo Stato lo stesso Pontefice così si esprimeva: «Né più lieti successi potremmo presagire per la Religione e il Principato dai voti di coloro che vorrebbero vedere separata la Chiesa dal Regno, e troncata la mutua concordia dell’Impero col Sacerdozio. È troppo chiaro che dai sostenitori di una impudentissima libertà si teme quella concordia che fu sempre fausta e salutare al governo sacro e a quello civile». Non diversamente Pio IX, ogni volta che ne ebbe l’occasione, annotò molte false teorie che riscuotevano maggior credito, e in un secondo tempo ordinò che esse venissero raccolte tutte insieme, affinché nel dilagare di tanti errori i cattolici avessero una guida sicura. Dalle citate dichiarazioni dei Pontefici è dunque necessario dedurre che l’origine della potestà civile è in Dio, non nel popolo; che la libertà di ribellione contrasta con la logica; che il non tenere in alcun conto i doveri religiosi, o essere indifferenti alle varie forme di culto, non è lecito né ai singoli individui né agli Stati: che la smodata libertà di pensiero e di espressione non può annoverarsi tra i diritti dei cittadini né in alcun modo tra i privilegi degni di tutela e di protezione. Similmente si deve ritenere che la Chiesa sia una società perfetta nella sua peculiare natura e nel suo assetto giuridico non meno di quella civile, e che al potere statale non deve essere consentito di sottomettere e subordinare a se stesso la Chiesa, o di limitarne l’azione, o di sottrarle uno qualsiasi degli altri diritti che da Gesù Cristo le sono stati conferiti. Nelle questioni di diritto misto, ciò che si conforma alla natura e al disegno divino non è la separazione di un potere dall’altro, e molto meno il conflitto tra loro, ma una piena concordia, coerente con le finalità che sono all’origine di entrambe le società. (Prosegue ...)