Iddio, creatore dell’universo, ci ha creati col fine che lo conoscessimo e servissimo; ha dunque tutto il diritto a che noi lo serviamo. Poteva, per il governo dell’uomo, dare a lui soltanto una legge di natura, quella legge, cioè che gli mise nel cuore creandolo; e poi guidare i suoi ulteriori sviluppi a norma di questa legge con ordinaria provvidenza. Volle invece aggiungere dei precetti a cui obbedissimo; e perciò, nel corso dei secoli, dai primi tempi umani sino alla venuta ed alla predicazione di Gesù, Egli stesso insegnò all’uomo quali doveri la natura ragionevole dovesse a Lui che l’aveva creata. «Spesse volte ed in varie maniere quel Dio che aveva parlato una volta attraverso i profeti, ha parlato in ultimo a noi, di questi giorni, attraverso il Figliuolo» (Hebr. 1,1, segg.). Rimane chiaro dunque, che non ci può essere religione vera, se non quella che ha per base la parola di Dio rivelata: rivelazione incominciatasi sui primordi umani, continuata nel Vecchio Testamento, e perfezionata e compiuta da Gesù stesso nel Nuovo. In realtà, se Iddio ha parlato - e che abbia parlato si dimostra storicamente - non è chi non veda che l’uomo non ha da far altro che crederGli assolutamente sulla parola, e senz’altro obbedirne i comandi: a compiere l’uno e l’altro dovere bene, per la gloria di Dio e la salvezza nostra, l’Unigenito Figliuol di Dio stabilì in terra la Sua Chiesa. Pertanto non ci si può professare cristiani senza credere che Cristo ha fondato una Chiesa e una Chiesa unica. Il dissenso incomincia allorché si vuol sapere quale deve essere questa Chiesa secondo la volontà del Suo Fondatore. Molti cristiani, per esempio, negano che la Chiesa debba essere visibile, almeno nel senso che il corpo dei fedeli debba apparire unico e tutto concorde in una stessa dottrina e sotto uno stesso Magistero e governo; e intendono per Chiesa visibile una Confederazione delle varie comunità cristiane, sebbene in particolare aderiscano a dottrine diverse, anzi opposte.
Cristo Signore istituì la Sua Chiesa come Società perfetta, di natura sua esterna e sensibile; la quale proseguisse nell’avvenire l’opera della redenzione umana, sotto di un sol capo (Matth. XVI, 18 ss.; Luc. XXII, 32; Ioan. XXI, 15-17), coll’insegnamento a viva voce (Marc. XVI, 15), e con l’amministrazione dei Sacramenti, fontane della grazia Celeste (Ioan. III, 5; VI, 48-59; XX, 22 ss.; cfr. Matth. XVIII, 18; etc.); non per nulla la paragonò a un regno (Matth. XIII), a una casa (Matth. XVI, 18), a un ovile (Ioan. X, 6), a un gregge (Ioan. XXI, 15-17). Questa Chiesa così meravigliosamente fondata, non poteva una volta morti il suo Fondatore e gli Apostoli che tanto l’avevano diffusa, non poteva cessare ed estinguersi in nessun modo, perché le fu ingiunto di portare a salvezza eterna tutti gli uomini senza distinzione di luoghi e di tempi: «Andate dunque ed ammaestrate tutte le genti» (Matth. XXVIII, 19). E nel compimento di questo obbligo come potrà mai mancarle forza ed efficacia, quando le è sempre daccanto Gesù stesso, che le aveva promesso solennemente: «Ecco io son con voi tutti i giorni, sino al termine del tempo»? (Matth. XXVIII, 20). Pertanto è impossibile che la Chiesa non esista ancora oggi e in ogni tempo, e non sia la medesima che nell’Evo Apostolico; a meno che non si voglia dire (Dio liberi!) che Gesù non fu capace di far quel che voleva, o che sbagliò quando disse che le porte dell’inferno non sarebbero prevalse contro di essa (Matth. XVI, 18). A questo punto vale la pena d’individuare e togliere di mezzo l’errore, in cui si fonda la questione e da cui partono le idee e le iniziative molteplici degli acattolici, relative all’unione delle Chiese cristiane. I fautori di essa hanno per vezzo di tirare fuori ogni tanto Gesù che dice: «Tutti siano una cosa sola... si farà un ovile ed un pastore» (Ioan. XVII, 21; X, 16); quasi che in queste parole il desiderio e la preghiera di Gesù siano restati senza effetto. Pensano che l’unità di fede e di regime - dote distintiva della Chiesa - non sia in fondo mai esistita prima di ora, e non esista oggi; la si può ben desiderare e forse pure raggiungere con un poco di buon volere comune, ma intanto, così come stanno le cose, è un’idea, non altro. Aggiungono: la Chiesa per sé, cioè di natura sua, è divisa in parti, vale a dire consta di più chiese o comunità particolari, le quali, disgiunte come sono, son d’accordo soltanto in qualche capo di dottrina, ma nel resto divariano e ciascuna ha i suoi diritti. La Chiesa fu forse unita, al più, dall’età apostolica ai primi Concili Ecumenici. Bisognerebbe dunque, a sentir loro, lasciar perdere o mettere da parte le controversie e tutte le differenze di pensiero che ancor oggi tengono discorde il Cristianesimo; poi di tutte le dottrine in cui si va d’accordo fare e promulgare una norma comune di fede, professando la quale tutti possano riconoscersi, anzi sentirsi fratelli. Le varie chiese e comunità, quando fossero tutte confederate, e soltanto allora, potrebbero con solidità e frutto porre un argine all’incredulità straripante. Alcuni ammettono e concedono che il Protestantesimo, per esempio, troppo precipitosamente si disfece di certi capi di fede e di alcuni riti del culto esterno, che, al contrario, la Chiesa Romana ritiene ancora. Ma subito aggiungono che questa pure però ha fatto cose che son venute a corrompere la religione antica, aggiungendo e proponendo a credere dottrine non solo aliene dal Vangelo, ma contrarie ad esso: come, si affrettano a dire, il Primato di giurisdizione attribuito a san Pietro ed ai suoi successori nella Sede di Roma. C’è pure chi si lascerebbe andare a concedere al Pontefice Romano un primato di onore, o fin certa giurisdizione o certo potere: non son molti però; soltanto esigono si dica che ciò avviene per consenso di fedeli e non per diritto divino. Non manca chi addirittura ha il pio desiderio di vedere a capo di questi congressi, diciamo così, variopinti, lo stesso Papa! D’altronde, di acattolici che si riempiono la bocca con queste prediche di unione fraterna, ne trovi molti; a nessuno però passa per il capo di sottomettersi e obbedire all’insegnamento, al comando del Vicario di Cristo. Per ora affermano di voler trattare volentieri con la Chiesa Romana, per quanto con eguali diritti e alla pari sempre; ma se potessero fare, c’è da star sicuri che farebbero in modo da non esser costretti in quella forma di accordo che essi vagheggiano, a lasciar quelle idee per cui oggi si trovano fuori dell’unico ovile di Cristo, vagando ed errando.
Traduzione dal latino tratta dal volume «Tutte le Encicliche dei Sommi Pontefici», raccolte e annotate da Eucardio Momigliano, dall’Oglio Editore, Milano, 1959