INTRODUZIONE. La Non abbiamo bisogno è una delle poche encicliche scritte direttamente in lingua italiana, anziché in latino, perché più chiara ed immediata arrivasse la parola del Papa ai destinatari. La lettera, inviata in antecedenza per aereo all’estero, scoppiò come una bomba nei rapporti fra il Vaticano e il regime fascista. E’ una presa di posizione, coraggiosa e serena, di fronte al tentativo di soffocare la libertà spirituale e le altre fondamentali libertà in Italia; il tono è vivacemente polemico. Il documento è una testimonianza del contrasto profondo che divideva la dottrina del fascismo dal pensiero della Chiesa.
I PRECEDENTI. Il punto di partenza, per una retta collocazione e interpretazione dell’enciclica, è la Conciliazione, il trattato cioè che l'11 febbraio 1929 chiudeva lo storico dissidio fra l’Italia e il Vaticano. Il capo del governo, Benito Mussolini, parve spaventarsi della gloria che Cavour aveva vaticinata per chi quell’atto avesse compiuto e sembrò pentirsi della sua prova di intelligenza, che tutto il mondo civile aveva applaudito. Cominciò prima a menomarlo con discorsi nei quali indulse a motivi acremente denigratori; poi provocò una campagna di stampa contro l'Azione cattolica. Si svelò ben presto il significato che le due parti davano alla Conciliazione: da parte della Santa Sede il trattato era considerato come uno strumento di pace e libertà religiosa (libertà per la vera religione, ndr.); da parte fascista, dopo la ricerca di un clamoroso successo politico, l’evento era sfruttato come un mezzo per imbrigliare l’attività organizzata dei cattolici.
IL DISSIDIO. Registriamo le tappe più significative del dissidio. Il 13 maggio 1929, tre mesi dopo la Conciliazione, il capo del fascismo pronunciò un infelice discorso alla Camera dei Deputati, sfoderando «gli artigli della polemica». Elencò fra i precursori del cristianesimo Orazio, Virgilio e Giulio Cesare, per concludere che, se il messaggio cristiano fosse rimasto in Palestina, molto probabilmente sarebbe stato quello di «una delle tante sette che fiorivano in quell’ambiente arroventato, come ad esempio quella degli Esseni e dei Terapeuti, e molto probabilmente si sarebbe spento senza lasciare traccia di sè». Il 29 dello stesso mese seguì un altro discorso dello stesso tono.
LA REAZIONE. Tali interventi provocarono la replica immediata del papa Pio XI, che il 30 del mese rispondeva con una lettera diretta al cardinale Gasparri, segretario di Stato. «La pace del Laterano — scriveva il Pontefice — è per sua natura essenzialmente religiosa», esclusivamente rivolta, cioè, all’incremento della vita religiosa del popolo italiano. La Chiesa rivendicava il suo diritto imprescindibile a esercitare «il pieno e perfetto mandato educativo», opponendosi ad ogni limitazione alla (vera) libertà delle coscienze. Il conflitto era ormai aperto. Durante due anni, Vaticano e governo fascista polemizzano vivacemente: il pomo della discordia è l’Azione cattolica che i fascisti accusano di essere strumento di penetrazione e di lotta contro il fascismo, e che il Vaticano difende come l’istituzione più cara, cui è commessa la difesa della religione nel mondo laico. Alla fine di marzo del 1931, il Lavoro Fascista attaccò violentemente le associazioni giovanili cattoliche, minacciando «suon di legnate», col pretesto che esse «facevano azione politica, al modo del partito popolare italiano». Il 19 aprile a Milano, l’on.le Giuriati, segretario politico del partito fascista, dichiarò «inutile e forse pericolosa» l’Azione cattolica. Replicò nello stesso giorno Pio XI con un discorso sugli scopi dell’Azione cattolica, chiamandola «non solo legittima e necessaria, ma anche insurrogabile». La polemica ridivampò alla fine di maggio, accompagnata da intensificate violenze contro soci ed associazioni di Azione cattolica a Roma e altrove. Il Papa, ripetutamente, confutò accuse e protestò contro le violenze, esortando i cattolici a resistere sulla linea della fedeltà alla Chiesa. Finalmente Pio XI riassunse vicende e ragioni nell’enciclica Non abbiamo bisogno, del 29 giugno 1931.
IL CONTENUTO. L’enciclica, al di là delle circostanze che l’hanno provocata, ha lo storico valore di affermare l’inconciliabilità fra la dottrina cattolica e quella del fascismo. E’ un documento notevole come condanna della statolatria, dell’aggressione alla (vera) libertà delle coscienze, del monopolio dell’educazione e dell’abuso del giuramento in politica. C’è in esso un tono di spontaneità, un calore intimo, un coraggio soprannaturale così vivi e suggestivi che da soli basterebbero a dar la misura della forza morale della Chiesa nei tempi nostri. La «attentata distruzione delle nostre care ed eroiche associazioni giovanili di Azione cattolica — dice il Papa — ha una ragione sola: la battaglia che ora si combatte non è politica ma morale e religiosa».
LA REAZIONE. Alla precisa denunzia dell’enciclica seguì la reazione rabbiosa di chi si sentì colpito. La Gazzetta, organo ufficiale del partito fascista per la Sicilia e Calabria, il 12 luglio scriveva: «Se il Duce ci ordinasse di fucilare tutti i vescovi, non esiteremmo un istante». Il 14 luglio si riunì a Palazzo Venezia il direttorio del partito fascista, sotto la presidenza del Duce. Si fece una rassegna delle forze tesserate, quindi si protestò contro l’enciclica, specie per l’accenno al giuramento e contro quel «vero e proprio appello allo straniero», che la cattolicità del documento significava agli occhi dei dirigenti del partito; furono sciolti tutti i sodalizi di Azione cattolica e si dichiarò incompatibile l’appartenenza a questa e al partito.
I CATTOLICI. Di ben altro genere fu l’accoglienza riservata all’enciclica dai cattolici militanti e dagli uomini liberi. Nei primi essa rafforzò la certezza della bontà di un impegno diffìcile e rischioso, infondendo in pari tempo il coraggio a perseverare. E poiché il documento interpretò e difese l’aspirazione alla (vera) libertà ed (vera) alla democrazia - (da non confondere con la falsa libertà moderna e con il contemporaneo aberrante democratismo, ndr.) - contro le pressioni totalitarie, esso contribuì non poco a sollevare le speranze anche di persone lontane dal pensiero cristiano. Furono molti coloro che cominciarono a guardare alla Chiesa come a una sicura difesa della (vera) libertà e (vera) dignità umana.
P. Tommaso Toschi OFM
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Per inviare una donazione Cliccare qui. «Nessuno al mondo vorrà mai ammettere di essere avaro! Tutti negano di essere contagiati da questo tarlo che inaridisce il cuore. Chi adduce a scusa il pesante fardello dei figli, chi la necessità di crearsi una posizione solida... Quelli poi che sono avari più degli altri, non ammetteranno mai di esserlo, e il bello è che, in coscienza, sono proprio convinti di non esserlo! L’avarizia è una febbre maligna, che più è forte e bruciante e più rende insensibili» (San Francesco di Sales, «Filotea»). Per scaricare il PDF cliccare qui.
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