Il Cristiano deve tener dinanzi alla mente alcune verità di Fede e alcune nozioni di Liturgia che qui brevemente si richiamano. Seguiranno le regole pratiche per l’uso del Messale.
La santa Messa è il sacrificio del Corpo e del Sangue di Gesù Cristo offerto sui nostri altari sotto le specie del pane e del vino, in memoria del sacrificio della Croce. Il sacrificio della Messa è sostanzialmente il medesimo della Croce in quanto lo stesso Gesù Cristo, che si è offerto sopra la Croce, è quello che si offre per mano dei sacerdoti, suoi ministri, sui nostri altari; ma in quanto al modo con cui viene offerto il sacrificio della Messa differisce dal sacrificio della Croce, pur ritenendo con questo la più intima ed essenziale relazione. Tra il sacrificio della Messa e quello della Croce vi è questa differenza e relazione; che Gesù Cristo sulla Croce si offrì spargendo il suo sangue e meritando per noi; invece sugli altari Egli si sacrifica senza spargimento di sangue e ci applica i frutti della sua Passione e Morte.
Fin dal principio del mondo, come sappiamo dalla Bibbia, gli uomini solevano offrire a Dio le primizie della terra e immolargli i domestici animali, in riconoscimento del suo supremo dominio su tutte le creature e con l’intenzione di espiare in quelle vittime innocenti le colpe proprie; e spesso dei frutti così offerti e delle carni immolate si cibavano i sacerdoti e il popolo per comunicare in qualche maniera con la Divinità. Poi, quando venne Gesù, il Verbo di Dio fatto uomo, e si offerse all’eterno Padre e s’immolò sulla Croce espiando realmente in sé i peccati di tutta quanta l’umanità, cessarono, com’era naturale, gli antichi sacrifizi che di quest’ultimo erano semplicemente figure. Ma non per questo cessava nelle generazioni dopo Cristo l’obbligo di adorare anch’esse il Signore, ringraziarlo dei benefizi ricevuti, chiedergli le grazie necessarie e placarne personalmente l’offesa giustizia, che sono i quattro fini dell’azione sacrificale; né d’altra parte era lecito ritornare ai sacrifizi, immensamente inferiori, d’un tempo. Ed ecco la Messa.
La quale, in sostanza, è la perenne memoria e la continua perpetuazione del Sacrifizio della Croce: difatti. identico è sul Calvario e nella Messa il principale Offerente, Cristo Gesù; identica la Vittima, Gesù medesimo: identico il quadruplice fine. V’è soltanto differenza nel modo di compierlo: sulla Croce Gesù Cristo morì di morte reale, versando dalle aperte ferite del suo Corpo tutto il suo Sangue, onde il sacrificio fu cruento; nella
Messa Gesù si offre quale vittima già una volta immolata, e vi muore solo misticamente, cioè, pur rimanendo vivo e intero, Egli si pone in figura di morte sotto le specie separate del Pane e del Vino consacrati, e perciò il sacrifizio si dice incruento. Sulla Croce Gesù, insieme Sacerdote e Vittima, si offerse da se medesimo al Padre celeste; nella Messa Egli si offre per le mani dei sacerdoti. Sulla Croce Gesù operò la universale Redenzione; nella Messa se ne applicano i frutti ai vivi e ai defunti. Infine, mentre nel Sacrifizio della Croce non vi fu né vi poteva essere - che sarebbe stata orrenda antropofagia - la partecipazione conviviale alla Vittima, questa invece si ha nella Messa mediante la Comunione eucaristica.
Istitutore della Messa fu lo stesso Gesù Cristo; il quale, come narrano concordi i Vangeli e San Paolo, il Giovedì Santo all’ultima Cena, mentre gli Apostoli mangiavano, preso del pane e pronunciata una benedizione lo spezzò e lo distribuì ad essi dicendo: «Prendete e mangiate; questo è il mio Corpo che sarà dato per voi», Poi, avendo preso un calice, rese grazie e lo diede agli Apostoli dicendo: «Bevetene tutti; poiché questo è il mio Sangue della nuova Alleanza, che sarà versato per voi e per la moltitudine in remissione dei peccati». Soggiunse: «Farete questo in memoria di me». E noi sappiamo dal libro degli Atti che dopo la Pentecoste i discepoli cominciarono a fare quanto aveva loro ordinato il divino Maestro e che i primi fedeli erano assidui alla «frazione del pane» come allora chiamavasi la Santa Messa. Pertanto, la Consacrazione e la Comunione, ossia gli atti più augusti della Messa, sono d’istituzione divina; mentre le lezioni della Scrittura e il canto dei Salmi, che precedono il vero Sacrifizio, derivarono dall’uso dell antica Sinagoga, e le diverse orazioni e cerimonie che lo accompagnano vi furono aggiunte dai primi Cristiani per rendere il sacro rito più solenne e profittevole: tutte cose che, lasciate dapprima all’ispirazione del celebrante e al rigoroso fervore dell’assemblea, si andarono a mano a mano fissando nelle varie liturgie. La Messa secondo il Rito romano, che è il nostro e il più universalmente diffuso, può dirsi che nelle sue grandi linee fosse già formata fin dal secolo IV.
Nei giorni di domenica precede la Messa parrocchiale o conventuale una cerimonia di profondo significato: il Sacerdote asperge con l’acqua benedetta l’Altare, indi se stesso, il clero e il popolo, e il gesto e le parole concomitanti vogliono indicare la spirituale mondezza con la quale devesi partecipare a un tanto Mistero.
La Messa poi si può distinguere in tre parti: l’Antimessa che va dal principio al Kyrie compreso, la Messa dei Catecumeni dal Gloria al Credo, e la Messa dei Fedeli dall’Offertorio all’ultimo Vangelo incluso.
L’Antimessa è una specie d’immediata preparazione che anticamente non faceva parte integrale della Messa propriamente detta, e comprende: l’iniziale Segno di croce, il Salmo Judica me, attribuito a David e dalla Chiesa applicato ad esprimere quel misto di trepida umiltà e di speranza gioiosa che deve animare l’uomo nell’accingersi a un’azione così terribile e santa; la Confessione generica, prima del celebrante, poi dei ministri o del servente a nome di tutto il popolo che assiste; l’Introito ossia «entrata», che il coro cantava allorché i Ministri accedevano dalla sagrestia all’Altare, e si compone di un’Antifona e d’un Salmo oggi ridotto a un solo versetto, quasi sempre in attinenza con l’ufficio del giorno; finalmente il Kyrie, breve litania in lingua greca, invocante il Signore uno e trino e ripetuta nove volte, tre al Padre, tre al Figlio e tre allo Spirito Santo.
Le Messa dei Catecumeni, detta così perché nei primi secoli cristiani vi potevano assistere anche coloro che si preparavano al Battesimo, ha principalmente carattere di istruzione e contiene: il Gloria in excelsis, inno d’esultanza e di ringraziamento all’augustissima Trinità, che si apre col canto degli Angeli ai Pastori nella notte di Natale; la Colletta, orazione che il celebrante diceva quando ormai tutta la «plebs» ossia il popolo era «collecta» cioè raccolta in chiesa, e che ha relazione con la festa o col tempo corrente; l’Epistola o prima lettura scritturale, così chiamata perché il più sovente è un brano di una Lettera di San Paolo o d’altro Apostolo; il Graduale, breve canto levato per lo più da un Salmo e detto così perché il coro soleva cantarlo di sui «gradite» o gradini dell’ambone o pulpito; il duplice Alleluia, grido di giubilo che in ebraico significa «Lodate il Signore», seguito da un versetto di Salmo: ovvero, in luogo dell’Alleluia, dalla Settuagesima a Pasqua, il Tratto, così denominato perché cantavasi dal coro tutto di fila; poi, talvolta, la Sequenza, sorta di poesia o prosa rimata attinente al mistero del giorno; indi il Vangelo cioè un passo tolto dall’uno o dall’altro dei quattro Evangelisti, quasi sempre in relazione con l’Epistola e con la solennità celebrata o con l’ufficio corrente; infine il Credo o professione di Fede secondo la formula del Simbolo niceno-costantinopolitano.
La Messa dei Fedeli, così chiamata perché in antico vi potevano assistere i soli battezzati, è di gran lunga la parte più importante, come quella che costituisce il vero e proprio sacrifizio. Essa comprende: l’Offertorio, ordinariamente tratto da un Salmo, e un tempo Salmo intero che il coro cantava, l’Oblazione delle ostie e del vino entro il calice, nel quale il Sacerdote ha infuso anche una piccola quantità di acqua, storicamente perché tale era l’uso degli Ebrei e così fece pure senza dubbio il divino Maestro all’ultima Cena, misticamente per ricordare l’acqua che insieme al sangue sgorgò dal costato di Gesù, e altresì per simboleggiare l’unione del popolo fedele con Cristo. Nella Messa solenne si fa poi l’incensazione delle offerte, dell’Altare, del clero e del popolo, l’incenso significando le preghiere che devono accompagnare il Sacrifizio. Quindi, l’Abluzione delle mani coi versetti del Salmo 25, cerimonia che esprime con quale purezza fisica e spirituale il Sacerdote dovrà toccare le sacre Specie; la Secreta, nome derivato, secondo alcuni, dal fatto che il celebrante recita questa orazione sottovoce, ovvero perché detta sopra la parte delle offerte già «separata» - in latino secerno - per la consacrazione; indi l’Orate frates, invito del celebrante ai fedeli affinché preghino con lui che l’imminente sacrifizio sia accetto al Signore. Poi il Prefazio, solenne invocazione alla Trinità, che si chiude col triplice Sanctus. Viene poi il Canone, che significa «regola», la parte più veneranda e più antica della Messa, dove si fa la Memoria dei Santi, dei vivi e dei defunti, e si contengono le preghiere e le cerimonie che precedono, accompagnano e seguono la Consacrazione ossia l’Atto culminante del Sacrifizio, quando il Sacerdote in virtù delle parole taumaturghe
di Cristo cambia il pane in vero Corpo e il vino in vero Sangue di Gesù, ed eleva successivamente l’Ostia e il Calice perché il popolo li veda e li adori. Seguono il Pater noster cioè la sublime preghiera insegnataci dallo stesso Gesù, e l’Agnus Dei col saluto del Battista al Messia, i quali preparano alla Comunione eucaristica; indi il Communio, breve canto per lo più tolto da un Salmo e una volta Salmo intero che cantavasi mentre i fedeli si comunicavano; indi il Postcommunio, orazione analoga alla Colletta ma con esplicito accenno al Sacramento ricevuto; l’Ite Missa est o congedo dei fedeli, che propriamente voleva dire: «Andate, è il rinvio», la qual parola «missa» venne estesa a indicare tutto il sacro rito; la Benedizione al popolo, una volta riservata al solo Vescovo, e finalmente l’inizio del Vangelo di San Giovanni, ovvero altro passo secondo le rubriche.
Nelle Messe piane e quando non seguano immediatamente speciali funzioni, si recitano tre Avemmarie o una Salve Regina per l’incolumità e il trionfo della Chiesa, e in ultimo la triplice giaculatoria al Sacro Cuore di Gesù.
Le vesti che il Sacerdote indossa per celebrare la Messa sono l’amitto, il camice, il cingolo, il manipolo, la stola e la pianeta.
L’amitto, da latino «amicire» che vuol dire coprire, è una larga pezzuola rettangolare di lino, con cui il Sacerdote si circonda il collo e si copre le spalle, e un tempo serviva a coprire anche la testa, onde gli fu dato il mistico nome di «elmo della salvezza» contro i tentativi d’assalto da parte del nemico infernale. Il camice è un’ampia e lunga tunica parimente di lino, che scende fino ai piedi e col suo candore significa la purità che deve rivestire l’anima del Sacerdote. Il cingolo è un cordiglio di lino con cui il celebrante si stringe alla vita il camice, e simboleggia la virtù della continenza. Il manipolo, in antico un fazzoletto che si teneva «in mano», è una breve striscia di seta che il Sacerdote porta pendente all’avambraccio sinistro, e raffigura le inevitabili afflizioni cui l’uomo di Dio va incontro nell’esercizio del suo ministero. La stola è una lunga striscia pure di seta che il Sacerdote si mette al collo e lascia pendere incrociata sul petto: rappresenta l’autorità sacerdotale e simboleggia l’immortalità perduta in Adamo e riconquistataci da Gesù Cristo. La pianeta fu già un mantello conico con un solo foro per il capo, ma che, scavato sempre più sotto le braccia per renderle maggiormente libere, finì con l’assumere la forma attuale d’un doppio pezzo di stoffa serica uguale a quella del manipolo e della stola, e che copre il Sacerdote dinanzi e di dietro: raffigura il giogo soave di Cristo.
Il simbolismo dei detti paramenti si rileva del resto dalle parole che il Sacerdote dice indossandoli. Già prima, nel lavarsi le mani, dice: «Fa’che le mie mani, o Signore, siano asterse da ogni macchia, affinché io ti possa servire puro nell’anima e nel corpo». Imponendosi l’amitto dice: «Poni sul mio capo, o Signore, l’elmo della salvezza per vincere gli assalti del demonio». Rivestendosi del camice: «Imbiancami, o Signore, e monda il cuor mio, perché, imbiancato dal sangue dell’Agnello, io possa godere le eterne gioie». Mettendosi il cingolo dice: «Cingimi, o Signore, col cingolo della purezza ed estingui nelle mie membra ogni moto sensuale, perché sempre in me rimanga la virtù della continenza e della castità». Ponendosi al braccio sinistro il manipolo dice: «Che io meriti, o Signore, di portare il manipolo del pianto e del dolore, per poi ricevere con esultanza la mercede delle mie fatiche». Nel mettersi al collo la stola dice: «Rendimi, o Signore, la stola della immortalità ch’io perdetti col peccato del nostro progenitore e, quantunque indegno io mi accosti ai tuoi santi misteri, fa’ tuttavia ch’io meriti il gaudio sempiterno». Indossando la pianeta: «O Signore che dicesti come il tuo giogo è soave e leggero il tuo peso, fa’ ch’io valga a portare questo sì da conseguire la tua grazia».
Fra gli oggetti necessari alla celebrazione della Messa, il più sacro e venerabile, vero centro del Santuario, è l’Altare di pietra elevato da terra, che ricorda la tavola del Cenacolo e simboleggia Gesù Cristo «pietra angolare» della Chiesa. Esso racchiude, in un incavo situato nel mezzo e detto «sepolcro», alcune reliquie di Martiri; e ciò per continuare l’uso dei primi tempi cristiani di celebrare il divin Sacrifizio sopra la tomba d’un martire della Fede. Ricoprono l’Altare tre tovaglie di lino che rammentano il lenzuolo o «sindone» in cui fu avvolto il corpo di Gesù deposto dalla Croce; e adornano l’Altare un crocifisso, perché il Sacerdote abbia sempre davanti agli occhi e alla mente la Passione di Gesù, e due candelieri accesi in segno di onore.
Altri oggetti sacri sono: il Calice, vaso d’oro o almeno d’argento dorato all’interno, in cui viene versato il vino che si cangerà nel Sangue di Cristo. La patena che è un piccolo piatto d’oro o superiormente dorato che dapprima è sovrapposto al calice e poi destinato a ricevere l’ostia che si cangerà nel Corpo di Cristo. Il corporale, quadrato di finissima tela che si spiega sull’Altare e su cui si fa la Consacrazione del pane e del vino. La palla, piccolo quadrato pure di tela che serve a coprire il calice; il purificatoio, pannolino con cui il celebrante terge l’interno del calice e si asciuga le dita dopo l’ultima abluzione; infine il velo, pezzo di seta, col quale si tiene coperto il calice fino all’Offertorio e lo si ricopre dopo la Comunione, e la borsa, specie di busta dove si custodisce il corporale quando è piegato.
L’Anno liturgico o ecclesiastico ha la stessa durata dell’anno civile, solo che invece di cominciare il 1° Gennaio e finire col 31 Dicembre, esso principia con la la Domenica d’Avvento, che oscilla tra il 27 Novembre e il 3 Dicembre, e termina col Sabato successivo all’ultima delle Domeniche dopo la Pentecoste. Parimente, anziché dividersi regolarmente in stagioni e mesi, l’Anno liturgico risulta di vari periodi d’ineguale lunghezza.
Prima di tutto, esso si svolge in due cicli simultanei, uno principale chiamato Proprio del Tempo, l’altro secondario detto Proprio dei Santi. Intento del primo è di mostrarci la figura del Salvatore nel grande quadro dei Misteri di nostra Religione; e perciò racchiude due cicli minori polarizzati attorno alle due massime solennità dell’Anno cristiano, il Natale e la Pasqua.
Il Ciclo natalizio o dell’Incarnazione comprende: l’Avvento in preparazione alla «venuta» del Signore (4 domeniche) e il Tempo natalizio che Celebra la nascita e 1’infanzia di Gesù, cominciando la Vigilia di Natale e prolungandosi fino al 2 Febbraio, festa della Purificazione di Maria (40 giorni). Il Ciclo pasquale o della Redenzione contiene: il Tempo della Settuagesima, preparazione remota alla Pasqua; la Quaresima, preparazione prossima, di cui le ultime due settimane si dicono Tempo di Passione e l’ultima in particolare Settimana Santa perché commemorano la passione e morte di Gesù (9 settimane); e il Tempo pasquale con le grandi solennità Pasqua, Ascensione e Pentecoste fino alla Domenica della Trinità (8 settimane). Tra l’Epifania e la Settuagesima s’inseriscono alcune Domeniche dette appunto dopo l’Epifania e che possono essere da 2 a 6; e così parimente fra la Pentecoste e l’Avvento le Domeniche dopo la Pentecoste che sono da 28 a 23. Non sarà inutile ricordare che questa inversa variabilità del numero delle settimane o domeniche dopo l’Epifania e dopo la Pentecoste dipende dalla data mobile della Pasqua, la quale, dovendosi celebrare nella Domenica successiva al primo plenilunio di Primavera, oscilla tra il 22 Marzo e il 25 Aprile.
Il Proprio dei Santi, ciclo che si svolge contemporaneamente al precedente, si compone delle feste in onore di quegli Spiriti beati che Gesù Cristo si associò nell’opera della Redenzione: la Madonna, gli Angeli, il Precursore, San Giuseppe, gli Apostoli, i Martiri, i Confessori, le Vergini.
I colori dei paramenti sacri variano secondo i Tempi e le feste, e sono sei: bianco, rosso, verde, viola, rosa e nero. II bianco è il colore della luce e dei gigli, e simboleggia la gioia, l’innocenza, la gloria; si usa perciò nelle feste della Trinità, di Cristo, della Madonna, degli Angeli e dei Santi e Sante non martiri. Il rosso è il colore del fuoco e del sangue, e perciò simbolo dell’ardente amore e del sacrifizio cruento; si adopera nelle feste dello Spirito Santo, della Croce, degli Apostoli e dei Martiri. Il verde è il colore della primavera e della fertilità, e quindi figura della Speranza e della fecondità spirituale della Chiesa; viene usato nelle Messe del Tempo dopo l’Epifania e dopo la Pentecoste. Il color viola è la tinta del crepuscolo e della cenere, onde significa raccoglimento e penitenza; è usato nel
l’Avvento, nella Settuagesima, nella Quaresima, nelle Quattro Tempora, nelle Vigilie e nelle Rogazioni. Il color rosa, cui del resto può sempre sostituirsi il viola, si usa in due domeniche, cioè la III d’Avvento e la IV di Quaresima, giorni in cui il rito attenua la ordinaria gravità del Tempo. Infine il nero è la tinta della notte e simboleggia la morte, per lo che si usa nella funzione del Venerdì Santo e nelle Messe e funzioni dei Defunti. Il drappo d’oro può sostituire il bianco, il rosso e il verde; quello d’argento il solo bianco.
Il lettore noterà come gran numero delle Messe del Tempo porti la dicitura «Stazione a S. Maria Maggiore» oppure «a S. Pietro» o ad altra chiesa dell’Urbe. È questo il ricordo di un’usanza liturgica che risale al VII secolo e che, almeno per qualche parte del rito, si conserva tuttora. Ai tempi di S. Gregorio Magno, sia per onorare i diversi santuari di Roma, sia per fare una specie di sacra missione nei vari rioni della città, i cristiani si adunavano ora in una, ora in un’altra chiesa, dove il sacerdote che sovente era lo stesso Papa, cantava la Messa; e ciò si diceva, con voce tolta dal linguaggio militare, «fare la stazione» - «statio» in latino = sosta, fermata, guardia - in quella data chiesa.
Nei giorni di Quaresima poi la Messa era preceduta da una processione di penitenza. I fedeli si davano convegno in un’altra chiesa che si diceva della «colletta» ossia dell’adunata, qui si ordinavano in doppia fila e, preceduti da un suddiacono recante la croce stazionale e dal Papa con i suoi diaconi, cantando le Litanie dei Santi si portavano alla chiesa, distante dalla prima, designata per la Stazione; e nella liturgia del divin Sacrifizio venivano introdotte letture e canti appropriati al tempo e al luogo, onde ancora oggi, a chi legge attentamente tali Messe, apparirà, più o meno palese, l’attinenza tra le parti variabili e il titolo di ciascuna Messa stazionale.
Un’altra indicazione che il fedele troverà all’inizio di ogni Messa, è quella di Doppio, Semidoppio o Semplice, ciò che segna la maggiore o minore solennità del rito in ordine all’ufficiatura del giorno. La parola «doppio» è derivata dal fatto che in tali giorni nell’ufficio divino le antifone si «raddoppiano», cioè si dicono intere al principio e alla fine di ciascun salmo; mentre nei giorni di rito semidoppio o semplice al principio si annunziano soltanto, ossia se ne dicono o cantano solo le prime parole. Il Doppio poi può essere di I Classe allorché trattasi delle massime solennità (Natale, Pentecoste, Assunzione della B. V. Maria, festa dei Ss. Pietro e Paolo, ecc.); Doppio di II Classe nelle feste di minore solennità (Circoncisione, Invenzione della S. Croce, le feste degli Apostoli, ecc.); Doppio maggiore (Sacra Famiglia, Apparizione dell’Immacolata, festa di S. Domenico, ecc.); Doppio minore o Doppio senz’altro (festa di S. Antonio Abate e della maggior parte dei Santi del Calendario). Hanno il rito Semidoppio le Domeniche fra l’anno e le feste d’alcuni Santi, e il rito Semplice le ordinarie ferie e le feste d’altri Santi.
Il grado del rito importa delle variazioni o delle particolarità che vengono descritte nelle rubriche del Messale adoperato dai Sacerdoti; ma al comune fedele basterà sapere che quando il rito è semidoppio o semplice il Sacerdote, fatta eccezione delle domeniche e di certo ferie, può dire a suo piacimento la Messa quotidiana per i defunti o una delle Messe votive così classificate o, come votiva, una qualunque delle Messe dei Santi contenute nel Messale. Infine si noti che si dice Vigilia il giorno precedente la festa, e Ottava l’intervallo di otto giorni, compreso quello della festa, che segue una grande solennità.
Quanto all’uso del Messale, si noti ch’esso si compone di tre parti: l’Ordinario della Messa (che seguirà qui in PDF) contenente le preghiere che invariabili o con leggiere variazioni si ripetono ogni giorno; il Proprio del Tempo che, come dice il nome, comprende le parti variabili delle Messe del ciclo del Tempo, cioè delle Domeniche, principali solennità, feste e ferie mobili; e il Proprio dei Santi che racchiude le parti variabili delle Messe delle feste fisse, della Madonna, degli Angeli e dei Santi, come si disse a proposito dell’Anno liturgico.
Quanto al modo d’assistere al divin Sacrifizio, i fedeli (nel massimo e composto silenzio), oltre a tenersi uniti intenzionalmente coi Sacerdote, ci portino l’attenzione della mente, la devozione del cuore e la compostezza della persona; e circa quest’ultimo punto si avverta che alle Messe piane, fuorché durante la lettura dei due Vangeli da ascoltarsi in piedi, si dovrebbe stare sempre in ginocchio; che se ciò riesce troppo scomodo, si cerchi almeno di star genuflessi dal Sanctun a tutta la Comunione. Assistendo alla Messa solenne,è bene star genuflessi, in piedi o seduti ai tempi debiti seguendo l’esempio del clero presente. Infine va notato che per consiglio della Chiesa, è bene, al momento dell’Elevazione, alzare reverente lo sguardo al Ostia santa per poi subito riabbassarlo, dicendo frattanto: «Mio Signore e mio Dio!».
Ispirato dall’Introduzione al Messale quotidiano del Can. Antonio Masini, ed. Salani, imprimatur 1940. (CdP)
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