• Qualunque sia lo svolgimento di questo controverso capitolo di erudizione ecclesiastica [il Pontefice si sta esprimendo sull’opera di correzione dell’Eucologio Greco, ndR], a Noi basta poter affermare che la citazione del Romano Pontefice durante la Messa e le preghiere recitate per lui nel corso del Sacrificio vanno ritenute, e sono, un esplicito segno col quale il Pontefice (regnante) viene riconosciuto Capo della Chiesa, Vicario di Cristo, Successore di San Pietro, e si fa professione di cuore e di volontà saldamente ancorata all’unità Cattolica. Ciò esattamente avverte Cristiano Lupo, scrivendo nella sua opera sui Concilii: «Questa citazione è la massima e più ragguardevole immagine della comunione».
• Né questo si prova soltanto con l’autorità di Ivo Flaviniacense che scrive: «Sappia che è separato dalla comunione di tutto il mondo chiunque, per qualsiasi dissenso, non avrà letto nel Canone il nome dell’Apostolico», o con l’autorità del famoso Alcuino che così si esprime: «È noto che sono separati dalla comunione di tutto il mondo, come insegna il Beato Pelagio, coloro che per qualsiasi dissenso non ripetono, durante la celebrazione dei Sacri Misteri, secondo la consuetudine, il nome dell’Apostolico (legittimo) Pontefice (regnante)».
• Con più severo giudizio Pelagio II, (...) nelle sue lettere riportate nella Collezione Labbeana dei Concilii, così scrisse a proposito di questa materia: «(...) il Santissimo Agostino, memore della volontà del Signore che pose la base della Chiesa nella Sede Apostolica, afferma che è scismatico chiunque si dissocia dalla comunione e dall’autorità dei Presuli delle Sedi stesse (...). In questo modo, come potete credere che non siete separati dalla comunione di tutto il mondo se tacete il mio nome (afferma Papa Pelagio II), secondo la consuetudine, durante la celebrazione dei Sacri Misteri? Nel mio nome, quantunque indegno, risiede la forza della Sede Apostolica, che attraverso la successione episcopale è giunta fino al tempo presente». Di questa lettera di Pelagio si servì anche il grande Arcivescovo di Lione, Sant’Agobardo, nel suo trattato De comparatione utriusque regiminis.
• Inoltre, per Noi è sufficiente poter asserire con certezza che, in qualsiasi tempo, è stata accolta nella Chiesa (ed anche in quella Greca) la disciplina di pregare nominativamente per il Romano Pontefice durante la Messa (...). C’è una lettera del Patriarca Pietro Antiocheno, che visse nell’anno di Cristo 1053, indirizzata a Michele Cerulario, principale autore dello scisma di Fozio, che pubblicò in greco e in latino Giovanni Battista Cotelerio. Michele aveva detto che si meravigliava che lo stesso Pietro Antiocheno, nonché i Vescovi di Alessandria e di Gerusalemme, registrassero ancora nei sacri Dittici [Tavolette] il Pontefice Romano (...). Ma Pietro rintuzzò vivacemente l’audacia di quell’uomo fanatico, dimostrando che fino al suo tempo non era mai stata omessa la citazione del Romano Pontefice sia ad Antiochia, sia a Costantinopoli (...). Si aggiunga che non si cominciò mai a trattare di instaurare l’unità senza che si ponesse subito in precedenza la condizione di riportare nella sacra Liturgia la citazione del (legittimo) Romano Pontefice: e che non si poteva ritenere avvenuta in pieno l’unione concordata, se non si fosse subito messa in esecuzione questa condizione iniziale. Da tutto questo si può desumere chiaramente il consenso delle Chiese Latina e Greca nel riconoscere e nello stabilire che nella suddetta citazione c’era la confessione della dovuta sottomissione al (regnante) Pontefice Romano, come a Capo della Chiesa, e la volontà di continuare nell’unità della Chiesa, come abbiamo detto sopra; al contrario, con l’omissione della predetta menzione si dichiarava pervicacemente la volontà di aderire allo scisma.
• Allorché Michele Paleologo, Imperatore di Costantinopoli, nell’anno 1263 e seguente, dichiarò che era sua volontà di ritornare all’unità e alla concordia con la Chiesa di Roma, assieme ai Greci a lui soggetti, Urbano IV, Nostro Predecessore, chiaramente propose questa condizione: «Purché nelle Sacre Funzioni e nei Dittici venisse ricordato il nome del Papa con i quattro Patriarchi». Citazioni tratte dalla «Ex quo primum» - 1.03.1756.
Cosa impariamo? Che è totalmente fallace la dottrina dei cosiddetti Lefebvriani, i quali sostengono che la citazione del nome del Romano Pontefice durante la Messa sarebbe una mera preghiera per la sua fede, affinché questi si converta al cattolicesimo. Qualcosa di assurdo! Al contrario, questa citazione significa unità nella fede e sommissione alla di lui autorità in quanto legittimo e regnante Pontefice.
Approfondimenti: - Benedetto XIV sulla citazione del nome di un eretico durante la Messa; - Comunicazione nelle cose sacre o communicatio in sacris