• Un fatto, che sempre si ripete nella storia della Chiesa, è che quando la fede e la morale cristiana si urtano contro forti correnti avverse di errori o di appetiti viziati, sorgono tentativi di vincere le difficoltà con qualche comodo compromesso, o altrimenti di schivarle ed eluderle. Anche in ciò che spetta ai comandamenti di Dio si è creduto di aver trovato un ripiego. Nella materia morale, [dicono gli erranti], vi è inimicizia con Dio, perdita della vita soprannaturale, grave colpa in senso proprio, solamente quando l’atto, di cui si deve rispondere, è stato posto non solo con la chiara consapevolezza che è contro il comandamento di Dio, ma, anche con la espressa intenzione di offendere con esso il Signore, di rompere l’unione con Lui, di disdire a Lui l’amore. Se questa intenzione è mancata, se, cioè l’uomo da parte sua non ha voluto troncare l’amicizia con Dio, l’atto singolo - [affermano gli erranti] - non può nuocergli. Per portare un esempio: le moltiformi deviazioni del sesto comandamento non sarebbero per il credente, il quale nel resto vuol mantenersi unito a Dio e conservarsi amico di Lui, nessuna grave mancanza, né importerebbero colpa mortale. Stupefacente soluzione! [Il Pontefice sta biasimando e deridendo questa soluzione, che, neanche a dirlo, diventa la sentenza ordinariamente approvata e tenuta dai falsari autori del “Vaticano Secondo” e successivi seguaci, ndR].
• Chi non vede come nella chiara conoscenza che un determinato atto umano è contro il comandamento di Dio, s’include che esso non può essere indirizzato al fine dell’unione con Lui, appunto perché contiene l’avversione, ossia l’allontanamento dell’animo, da Dio e dalla sua volontà (aversio a Deo fine ultimo), avversione che distrugge l’unione e l’amicizia con Lui, come fa propriamente la colpa grave? Non è forse vero che la fede e la teologia insegnano che ogni peccato è un’offesa di Dio e mira ad offenderlo, perché l’intenzione insita nella colpa grave è contro la volontà di Dio espressa nel comandamento di Lui che si viola? Quando l’uomo dice sì al frutto proibito, dice no a Dio proibente; quando antepone se stesso e la sua volontà alla legge di Dio, allontana da sé Dio e il divino volere: in ciò consiste l’avversione da Dio e l’intima essenza della colpa grave. La malizia dell’atto umano viene [dal fatto] che non è commisurato alla sua regola, la quale è duplice: l’una prossima e omogenea, cioè la stessa umana ragione; l’altra è la prima regola, vale a dire la legge eterna, che è come la ragione di Dio, la cui luce risplende nella coscienza umana, allorché fa vedere la distinzione fra il bene e il male [Cf. S. Th. 1a 2ae p. q. 71 a. 6]. Il vero credente non ignora che l’intenzione tendente all’oggetto della colpa mortale non è separabile dall’intenzione che viola la volontà e la legge divina e rompe ogni amicizia con Dio, il quale sa ben conoscere le rette e le male intenzioni degli atti umani e premiarle o punirle con la sua penetrante giustizia. Vedete, dunque, come la soluzione [addotta dai falsi credenti, ndR] vada a danno della verità e della santità cristiana. Crediamo, per l’onore di coloro, i quali l’hanno messa fuori e la sostengono, che essi stessi la rinnegherebbero, se si volesse tirarne le logiche conseguenze e applicarla [applicare questa erronea sentenza, ndR] in altre materie, per esempio, allo spergiuro e all’assassinio deliberato; poiché anche questi peccati nella maggior parte dei casi si commettono con l’intenzione di farne dei mezzi a un fine, quale sarebbe il bisogno di uscire da una difficile contingenza. [La storia insegna che, purtroppo, detti disonorevoli falsari adottano abitualmente la prassi dello spergiuro - che cos’è la professione del Credo e contemporaneamente quella dell’ecumenismo, se non anche un costante spergiuro; e non siperitano di anatematizzare gli assassini deliberati, per esempio gli abortisti, ndR]. Del resto, voi ben conoscete come suona la parola di Cristo: «Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io stesso ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nell’amore di Lui» [Io., 15, 10].
• Sentenza. Non vi è dunque che una via per giungere all’amore di Dio e mantenersi nell’unione e amicizia di Lui: l’osservanza dei suoi precetti. Le parole contano poco; quel che vale sono i fatti, e perciò il Redentore diceva: «Non tutti quelli che mi dicono: Signore, Signore, entreranno nel regno dei cieli; ma colui che fa la volontà del Padre mio, che è nei cieli, questi entrerà nel regno dei cieli» [Matth., 7, 21]. Confessare Dio con l’adempimento della sua santa volontà in tutti i suoi comandamenti e conformarvi, anzi unificarvi la volontà nostra, questa, e soltanto questa, è la via del cielo. San Paolo proclama tale assioma della vita morale con energica forma: «Badate di non errare: né i fornicatori, né gli idolatri, né gli adulteri, né gli effeminati, né quei che peccano contro natura, né i ladri, né gli avari, né quei che sono dediti all’ubriachezza, né i malefici, né i rapaci, avranno l’eredità del regno di Dio» [1 Cor. 6, 9-10; cf. Gal. 5, 19-20]. L’Apostolo delle genti aveva davanti allo sguardo non solo la defezione da Dio con la formale negazione della fede e l’odio formale di Lui, bensì anche ogni grave lesione delle virtù morali, e la sua parola non riguardava soltanto l’abitudine di peccare, ma altresì tutti i singoli atti contro la morale e la giustizia, che sono peccati mortali e portano con sé l’eterna dannazione. Il dare proprio all’uomo religioso quasi una carta d’immunità da ogni colpa in tutto ciò che facesse contro i comandamenti di Dio, non potrebbe certo stimarsi ed essere la redenzione dalla miseria morale, a togliere la quale si trova oggi di fronte la Chiesa.
[Dal Discorso di Sua Santità Pio XII ai parroci ed ai quaresimalisti di Roma, martedì 23 febbraio 1944; cf. Discorsi e Radiomessaggi di Sua Santità Pio XII, V, Quinto anno di Pontificato, 2 marzo 1943 - 1° marzo 1944, pp. 185-207. Tipografia Poliglotta Vaticana. Documento ricco di infallibili sentenze ed attualissimo].