O Divino Prigioniero del santuario, che per amor nostro e per la nostra salvezza hai voluto non solo rinchiuderti negli stretti limiti della umana natura e nasconderti poi sotto i veli delle specie sacramentali, ma anche vivere continuamente nella cella dei tabernacoli, ascolta la nostra supplica, che giunge sino a te da dentro queste spranghe e questi muri, e brama di esprimerti tutto il nostro affetto, ma anche il nostro dolore e il vivo bisogno che sentiamo di te nelle nostre tribolazioni, e soprattutto nella privazione della libertà, che tanto ci affligge. Forse ad alcuni di noi una voce dice nel fondo della coscienza che non siamo colpevoli, e soltanto un funesto errore giudiziario ci ha condotti in questo carcere; allora il nostro conforto sarà di ricordare che anche tu, la più augusta di tutte le vittime, fosti condannato innocentissimo. O forse ci tocca invece di abbassare gli occhi, di occultare il rossore del volto e di batterci il petto; però anche allora non ci manca il rimedio di gettarci nelle tue braccia, sicuri che tu sai comprendere tutti gli errori, perdonare tutti i peccati e restituire generosamente la tua grazia a chi ritorna a te pentito. E infine vi sono talvolta nella vita terrena tante ricadute nella colpa, che anche i migliori fra gli uomini finiscono col diffidare di noi, e noi stessi quasi non sappiamo donde cominciare il cammino nuovo della rigenerazione; però, nonostante tutto, nel più recondito dell’anima nostra sussurra una parola di fiducia e di conforto, la parola tua, che ci promette, se vogliamo tornare al bene, l’aiuto della tua luce e della tua grazia. Fa, o Signore, che mai non dimentichiamo come il giorno della prova è la occasione più propizia per purificare gli spiriti, praticare le più alte virtù e acquistare i maggiori meriti; fa che nei nostri cuori dolenti non penetri il disgusto che tutto dissecca, la sfiducia che non lascia campo al sentimento della fraternità; il rancore che prepara il cammino ai cattivi consigli, e teniamo sempre presente che, nel toglierci la libertà del corpo, nessuno ha potuto privarci di quella dello spirito, che nelle lunghe ore della nostra solitudine può elevarsi fino a te per meglio conoscerti e amarti ogni giorno più. Dà, o Redentore divino, aiuto e rassegnazione ai nostri cari, che piangono la nostra assenza; dà la pace e la tranquillità a questo mondo, che ci ha respinti, ma che noi amiamo e a cui promettiamo nell’avvenire la nostra collaborazione di buoni cittadini; e ottienici che i nostri dolori siano a molte anime di salutare esempio e le preservino così dal pericolo di seguire le nostre stesse vie. Ma soprattutto accordaci la grazia di credere fermamente in te, di sperare filialmente in te e di amar sempre te, che col Padre e lo Spirito Santo vivi e regni per tutti i secoli dei secoli. Così sia! (Die 10 Aprilis 1958).