È grazie alla Rivelazione se si ha, oggi, una concezione cristiana dell’uomo, espletandone l’origine, la natura, la dignità ed il destino. Quando i dettami della Rivelazione, che tutti convergono in Cristo, sono stati attuati nelle società a mercé della guida educatrice e riformatrice della Chiesa, si è passati dalle realtà barbare ed incivili (dove i diritti sociali erano pressoché inesistenti), alla civilizzazione, alla socializzazione, alla cultura più elevata ed alla sensibilità più acuta.
Il ritorno, scientificamente programmato, all’epoca precristiana, come sta accadendo al mondo d’oggi, dimostra chiaramente che l’eliminazione di una determinata concezione dell’esistenza è concausa di inarrestabile regresso, riportando l’umanità ad un’esistenza addirittura più bruta e sconclusionata di quella dei selvaggi, per tutto ciò che riguarda la morale, la giustizia, la vita pubblica, la comunità, la famiglia, la società in generale.
L’uomo d’oggi, lo dobbiamo riconoscere con grande dolore ma con lucido realismo, conduce generalmente un’esistenza atomistica, con tutti i guai che a ciò conseguono!
La Dottrina sociale della Chiesa applica, invece, alcuni princìpi o concezioni - fra i quali la consapevolezza cristiana del mondo, della famiglia, dell’amore - all’analisi condivisa o critica dei regimi economico-sociali visibili, e tende a fornire gli elementi per preparare i soggetti più idonei - le menti eccelse ed illuminate - alla restaurazione dell’ordine sociale veramente cristiano.
Negli ultimi 200 anni abbiamo assistito, al contrario, all’ascesa in politica di molti elementi che, con la loro stessa condotta umana ed azione politica, hanno dimostrato di non avere alcuna caratura a compiti così delicati e di non possedere neanche le basi morali e culturali per poter ben legiferare ed amministrare.
Anche questa aberrante verità è parte della pneumatica decadente che l’odierno mondo occidentale eredita, sebbene dietro mentite spoglie, anche dal socialismo viscerale che, più di altre pestilenze, ha contagiato l’intrinseca “anima” della società che oggi propende senza freno, quasi fosse giusto, all’egualitarismo antimeritocratico con la conseguente esaltazione del potente e del demagogo.
È venuta a mancare, anche da parte della Chiesa, oggi visibilmente occupata nella quasi totalità dei vertici da massonisti ed eretici di ogni sorta, la guida sicura del Magistero, che sempre interveniva nelle questioni sociali mediante la sua Dottrina, in nome della verità.
Papa Pio XII ricorda, nel suo Radiomessaggio del 24 dicembre 1951, che la Chiesa «anche nelle cose politiche, non può mai essere puramente politica, ma deve essere sempre “sub specie aeternitatis”, nella luce della legge divina, del suo ordine, dei suoi valori, delle sue norme».
La Chiesa non può immischiarsi nel «giuoco di combinazioni, che può spiegarsi col fluttuare incessante degl’interessi temporali», tipico dei governi e della politica, mentre invece « si tiene lontana da simili mutevoli combinazioni. Se giudica, non è per essa uscire da una neutralità fino allora osservata, perchè Dio non è mai neutrale verso le cose umane, dinanzi al corso della storia, e perciò non può esser tale neppure la sua Chiesa. Se parla, è in virtù della sua divina missione voluta da Dio. Se parla e giudica sui problemi del giorno, è con la chiara coscienza di anticipare, nella virtù dello Spirito Santo, la sentenza che alla fine dei tempi il suo Signore e Capo, Giudice dell’universo, confermerà e sanzionerà».
Resta bene inteso che tutti coloro i quali affermarono e continuano a sostenere che «si deve separare la Chiesa dallo Stato, e lo Stato dalla Chiesa» (cf. Syllabus complectens praecipuos nostrae aetatis errores, Pio IX, n° 55), sono in anathèma. Essi proferiscono e praticano l’eresia, che sia materiale o formale a noi poco importa all’atto pratico che, di fatto, corrisponde alla demolizione dell’ordine sociale.
Per intenderci, la Allocuzione Acerbissimum vobiscum, a proposito del matrimonio, commina l’anathèma contro tutti quelli che affermano: «Per diritto di natura il vincolo del matrimonio non è indissolubile, e in diversi casi il divorzio propriamente detto può essere sancito dall’autorità civile» (27 settembre 1852).
Nello stesso documento Papa Pio IX tuona: «[...] né si può passare sotto silenzio che con la nuova Costituzione di quella Repubblica, recentemente sancita, tra l’altro si difende il diritto di libertà d’insegnamento, e si riconosce a tutti indistintamente la più grande libertà di espressione di qualsiasi opinione, come pure di divulgare con la stampa ogni più strana mostruosità, e di professare, in privato come in pubblico, qualsiasi culto» [Acta Pii IX, 1 (1854), 383 ss.].
Queste affermazioni, ovviamente, non scaturiscono da velleità o follie del Pontefice, bensì sono profondamente radicare nella concezione cristiana che la Chiesa ha della società, avendo già dimostrato, per mezzo della storia, che ogni qual volta gli agnellini si sono allontanati dal pastore, il gregge o è andato disperso o ne è uscito gravemente danneggiato.
La Chiesa ha, dunque, sempre regolato, per giusta ragione, i «costumi», ovvero il comportamento dell’uomo sociale, del suo modo di vivere in un mondo popolato da più persone, quindi bisognoso di leggi sante che regolino il sociale, orientandolo al bene.
La Chiesa è, parimenti, sempre intervenuta nel dibattito pubblico, come ci ricorda Papa Pio XII nel suo Messaggio del 14 settembre 1952 ai cattolici d’Austria: «Con tutte le sue forze la Chiesa combatterà la battaglia in cui sono in gioco dei valori supremi: dignità dell’uomo e salvezza eterna delle anime […] solo il matrimonio religioso, e mai quello esclusivamente civile, è per il cattolico un vero matrimonio».
E SS. Leone XIII nella Arcanum Divinae del 10 febbraio 1880 asserisce: «[…] deve essere chiaro a tutti che se tra i cristiani si contrae l’unione dell’uomo e della donna indipendentemente dal Sacramento, essa manca della natura e dell’efficacia del legittimo matrimonio, e quantunque essa sia stata fatta in modo conforme alle leggi dello Stato, tuttavia non può essere considerata più che un rito od un’usanza introdotta dal diritto civile. Inoltre, dal diritto civile non possono essere ordinate e amministrate se non quelle cose che i matrimoni producono nell’ordine civile, e che ovviamente non possono essere prodotte se non ne esiste la vera e legittima causa, cioè il vincolo nuziale».
Carlo Di Pietro da ControSenso Basilicata