Preso atto delle premesse esposte nei precedenti articoli, veniamo ai principali danni che il moderno sistema economico - caratterizzato dalla dittatura dell’alta finanza, dall’avidità dei singoli e dalle utopie dell’apostasia socialista - arreca alle anime. Cito sempre il Sommo Pontefice Pio XI e la sua inappellabile Divini Redemptoris (15 maggio 1931): «Tutti restano quasi unicamente atterriti dagli sconvolgimenti, dalle stragi, dalle rovine temporali». Tuttavia, «se consideriamo i fatti con occhio cristiano, com’è dovere, che cosa sono tutti questi mali in paragone della rovina delle anime?».
Senza timore di apparire temerari, diciamo che «tale oggi (è) l’andamento della vita sociale ed economica, che un numero grandissimo di persone trova le difficoltà più gravi nell’attendere a quell’uno necessario all’opera capitale fra tutte, quella della propria salute eterna». Prosegue il Pastore d’anime: «Non possiamo contemplare con indifferenza tale sommo pericolo; che anzi, memori dell’ufficio pastorale, con paterna sollecitudine andiamo di continuo ripensando come recare ad esse aiuto, ricorrendo altresì allo studio indefesso di altri, che vi sono impegnati per debito di giustizia e di carità».
Cosa gioverebbe agli uomini, i quali «con più saggio uso delle ricchezze si rendessero più capaci di fare acquisto anche di tutto il mondo, se poi ne ricevessero danno per l’anima? (cfr. Mt., 15,26)». Che cosa gioverebbe «insegnare loro sicuri princìpi intorno all’economia, se poi si lasciano trascinare dalla sfrenata cupidigia e dal gretto amore proprio a tal segno che, pur avendo udito gli ordini del Signore, abbiano poi a fare tutto all’opposto!».
Fra le principali cause di questo danno spirituale dobbiamo annoverare l’evidente «defezione della vita sociale ed economica dalla legge cristiana e l’apostasia che ne consegue di molti operai - (ingannati dal Socialismo e dal Comunismo) - dalla fede cattolica». Questi mali hanno «la loro radice e la loro fonte negli affetti disordinati dell’anima, triste conseguenza del peccato originale che ha distrutto l’equilibrio meraviglioso delle facoltà umane; sicché l’uomo, facilmente trascinato da perverse cupidigie, viene fortemente spinto ad anteporre i beni caduchi di questo mondo a quelli imperituri del cielo».
Da questo nocivo atteggiamento scaturisce «una sete insaziabile di ricchezze e di beni temporali che, se in ogni tempo fu solita a spingere gli uomini a trasgredire le leggi di Dio e calpestare i diritti del prossimo, oggi, col moderno ordinamento economico, offre alla fragilità umana incentivi assai più numerosi».
Dato che «l’instabilità della vita economica - specialmente del suo organismo - richiede uno sforzo sommo e continuo di quanti vi si applicano, alcuni vi hanno indurito la coscienza a tal segno che si danno a credere lecito l’aumentare i guadagni in qualsiasi modo e difendere poi con ogni mezzo dalle repentine vicende della fortuna le ricchezze accumulate con tanti sforzi».
Questi facili guadagni: «Che l’anarchia del mercato apre a tutti, allettano moltissimi allo scambio e alla vendita, e costoro unicamente agognando di fare guadagni pronti e con minima fatica; con la sfrenata speculazione fanno salire e abbassare i prezzi secondo il capriccio e l’avidità loro, con tanta frequenza, che mandano fallite tutte le sagge previsioni dei produttori». Infine «le disposizioni giuridiche, ordinate a favorire la cooperazione dei capitali, mentre dividono la responsabilità e restringono il rischio del negoziare, hanno dato (pretesto) alla più biasimevole licenza; giacché vediamo che, scemato l’obbligo di (rendere chiari) i conti, viene attenuato il senso di responsabilità nelle anime, e, sotto la coperta difesa di una società che chiamano anonima, si commettono le peggiori ingiustizie e frodi, e i dirigenti di queste associazioni economiche, dimentichi dei loro impegni, tradiscono non rare volte i diritti di quelli di cui avevano preso ad amministrare i risparmi».
Né, per concludere, «si può omettere di condannare quegli ingannatori che, non curandosi di soddisfare alle oneste esigenze di chi si vale dell’opera loro, non si peritano invece di aizzare le cupidigie umane, per venirle poi sfruttando a proprio guadagno».
Tutti questi enormi inconvenienti - prosegue il Pontefice - «non potevano essere emendati, o piuttosto prevenuti, se non da una severa disciplina morale, rigidamente mantenuta dall’autorità sociale. Ma questa - (avendo apostatato dalla fede e scelto la cosiddetta laicità) - purtroppo mancò». Difatti, «avendo il nuovo ordinamento economico cominciato appunto quando le massime del razionalismo erano penetrate in molti e vi avevano messo radici, ne nacque in breve una scienza economica separata dalla legge morale; e, per conseguenza, si lasciò libero il freno alle passioni umane. Quindi avvenne che in molto maggior numero di prima furono quelli che non si diedero più pensiero di altro che di accrescere ad ogni costo la loro fortuna, e, cercando sopra tutte le cose ed in tutto i loro propri interessi, non si fecero coscienza neppure dei più gravi delitti contro gli altri».
I precursori di questa «via larga che conduce alla perdizione (cfr. Mt., 7,13)», trovarono comodamente «molti imitatori della loro iniquità sia per l’esempio della loro appariscente riuscita, sia per il fasto insolito delle loro ricchezze, sia per il deridere che fecero, quasi vittima di scrupoli insulsi, la coscienza altrui, sia infine schiacciando i loro competitori più timorosi». Prosegue …
Carlo Di Pietro da Il Roma