Il 15 maggio 1931, nella Quadragesimo anno, Papa Pio XI scrive: «L’uomo - facilmente trascinato da perverse cupidigie - viene fortemente spinto ad anteporre i beni caduchi di questo mondo a quelli imperituri del cielo. Di qui una sete insaziabile di ricchezze e di beni temporali che, se in ogni tempo fu solita a spingere gli uomini a trasgredire le leggi di Dio e calpestare i diritti del prossimo, oggi - col moderno ordinamento economico - offre alla fragilità umana incentivi assai più numerosi».
Preso atto che «l’instabilità della vita economica e specialmente del suo organismo, richiede uno sforzo sommo e continuo di quanti vi si applicano», bisogna pure riconoscere che «alcuni vi hanno indurito la coscienza (fino a) credere lecito l’aumentare i guadagni in qualsiasi maniera».
Il Pontefice prosegue: «I facili guadagni, che l’anarchia del mercato apre a tutti, allettano moltissimi allo scambio e alla vendita, e costoro - unicamente agognando di fare guadagni pronti e con minima fatica - con la sfrenata speculazione fanno salire ed abbassare i prezzi secondo il capriccio e l’avidità loro, con tanta frequenza, che mandano fallite tutte le sagge previsioni dei produttori».
Intanto «le disposizioni giuridiche, ordinate a favorire la cooperazione dei capitali, mentre dividono la responsabilità e restringono il rischio del negoziare, hanno dato ansa (mandato) alla più biasimevole licenza; giacché vediamo che, scemato l’obbligo di esporre i conti, viene attenuato il senso di responsabilità nelle anime: e, sotto la coperta difesa di una società che chiamano “anonima”, si commettono le peggiori ingiustizie e frodi, e i dirigenti di queste “associazioni economiche”, dimentichi dei loro impegni, tradiscono non rare volte i diritti di quelli di cui avevano preso ad amministrare i risparmi».
Né «si può omettere di condannare quegli ingannatori che - non curandosi di soddisfare alle oneste esigenze di chi si vale dell’opera loro - si peritano invece di aizzare le cupidigie umane, per venirle poi sfruttando a proprio guadagno». Restituitoci questo sincero ritratto dei cosiddetti “mercati” - invero degli spietati e scansafatiche speculatori e degli imprenditori avidi: i fomentatori di odio sociale - il Pontefice prosegue: «A una strage così dolorosa di anime, che durando farà cadere a vuoto ogni sforzo di rigenerazione della società, non si può rimediare altrimenti se non col ritorno manifesto e sincero degli uomini alla dottrina evangelica, ai precetti cioè di Colui che solo ha parole di vita eterna, e quindi parole tali che, passando cielo e terra, esse non passeranno mai. Così quanti sono veramente sperimentati nelle cose sociali, invocano con ardore quella che chiamano perfetta realizzazione della vita economica». Tuttavia «un tale ordinamento (…) riuscirà incompleto e imperfetto, (fino a quando) le forme dell’attività umana amichevolmente non si accorderanno ad imitare ed a raggiungere, per quanto è dato all’uomo, la meravigliosa unità del disegno divino; quell’ordine perfetto, diciamo, che a gran voce la Chiesa proclama [dalla morte di Pio XII i modernisti pretendono di proclamare altro, ndR] e la stessa retta ragione richiede: che cioè le cose tutte siano indirizzate a Dio come a primo supremo termine di ogni attività creata, e tutti i beni creati siano riguardati come semplici mezzi, dei quali in tanto si deve far uso in quanto conducono al fine supremo».
Papa Pio XI, al fine di evitare l’equivoco del «barbaro Socialismo», precisa meglio: «Né si deve credere che le professioni lucrative siano meno stimate, ovvero ritenute come poco conformi alla dignità umana. Al contrario, anzi, noi impariamo a riconoscere in esse con venerazione la manifesta volontà del Creatore, il quale ha posto l’uomo sulla terra perché la (lavori), facendola servire alle sue molteplici necessità. Né si proibisce a quelli che attendono alla produzione, l’accrescere nei giusti e debiti modi la loro fortuna; anzi la Chiesa insegna [dalla morte di Pio XII i modernisti pretendono di insegnare altro, ndR] essere giusto che chiunque serve alla comunità e l’arricchisce con l’accrescere i beni della comunità stessa, ne divenga anch’egli più ricco, secondo la sua condizione, purché tutto ciò si cerchi col debito ossequio alla legge di Dio e senza danno dei diritti altrui e se ne faccia un uso conforme all’ordine della fede e della retta ragione».
Finalmente conclude: «Se queste norme saranno da tutti, in ogni luogo e sempre mantenute, non solamente la produzione e l’acquisto dei beni, ma anche l’uso delle ricchezze, che ora si vede così spesso disordinato, verrà tosto ricondotto nei limiti dell’equità [non dell’egualitarismo rivoluzionario, ndR] e della giusta distribuzione [non dell’espropriazione socialista, ndR]. Così alla sordida cupidigia dei soli interessi propri, che è l’obbrobrio e il grande peccato del nostro secolo, si opporrà davvero e coi fatti la regola, soavissima insieme ed efficacissima, della moderazione cristiana, onde l’uomo deve cercare anzitutto il regno di Dio e la Sua giustizia, ritenendo per certo che i beni temporali gli saranno dati (secondo necessità) in forza della sicura promessa della liberalità divina». Cfr. Dizionarietto di Dottrina politica dei Papi (Ed. L’alleanza italiana, 1960, Vol. 1, pag. 146 segg.).
Dunque il rimedio non può essere un male ancor più grave come lo spirito rivoluzionario, bensì il ritorno «all’ordine della fede e della retta ragione», al «regno sociale di Dio e della Sua giustizia».
Carlo Di Pietro da Il Roma