Papa Pio XI nella Ubi arcano (23.12.1922) denuncia: «Molti sono quelli che credono o dicono di tenere le dottrine cattoliche sull’autorità sociale, sul diritto di proprietà, sui rapporti tra capitale e lavoro, sui diritti degli operai, sulle relazioni tra Chiesa e Stato, tra religione e patria, tra classe e classe, tra nazione e nazione, sui diritti della Santa Sede e le prerogative del Romano Pontefice e dell’episcopato, sui diritti sociali di Gesù Cristo stesso, Creatore, Redentore, Signore degl’individui e dei popoli». Tuttavia: «Poi parlano, scrivono e, quel che è peggio, operano come non fossero più da seguire le dottrine e le prescrizioni (a riguardo) solennemente ed invariabilmente (ossia infallibilmente) richiamate ed inculcate in tanti documenti pontifici».
Il Pontefice vede in questo modus operandi il modernismo, ovvero l’apostasia del pensiero moderno: «Contro questa specie di modernismo morale, giuridico, sociale, non meno condannevole del noto modernismo dogmatico, occorre pertanto richiamare quelle dottrine e quelle prescrizioni (di Dio e della Chiesa); occorre risvegliare in tutti quello spirito di fede, di carità sopranaturale e di cristiana disciplina che solo può dare la loro retta intelligenza ed imporre la loro osservanza».
Bisogna intervenire soprattutto sui giovani affinché, come dice l’Apostolo, cessino di essere condotti «da ogni vento di dottrina per i raggiri degli uomini, per le astuzie onde seduce l’errore» (Eph., IV, 14).
Già Papa Pio IX nella Quanta Cura (8.12.1864) contesta: «In questo tempo non pochi si trovano, i quali applicando al civile consorzio l’empio ed assurdo principio del naturalismo, così come lo chiamano, osano insegnare: “L’ottima ragione della pubblica società ed il civile progresso richiedono che la società umana si costituisca e si governi senza avere nessun riguardo alla religione”», come se non esistesse, o almeno senza fare alcun divario tra la vera e le false religioni.
Dopo aver rilevato l’esistenza di questa apostasia rivoluzionaria, prosegue: «Contro la dottrina delle sacre Lettere, della Chiesa e dei Santi Padri, (tali soggetti) non dubitano di asserire: “Ottima è la condizione della società, nella quale non si riconosce nell’impero (ossia nel Potere politico) il debito di reprimere con pene stabilite i violatori della cattolica Religione”». Viene tradito, dietro vile pretesto di aconfessionalità degli Stati, il debito di giustizia che le Nazioni hanno con Dio, con la Chiesa e con la carità cristiana.
Commenta il Papa: «Con la quale idea di sociale governo, assolutamente falsa, non temono di caldeggiare l’opinione sommamente rovinosa per la cattolica Chiesa e per la salute delle anime, dal nostro predecessore Gregorio XVI di venerata memoria chiamata, delirio, cioè: “La libertà di coscienza e dei culti - vogliono i moderni - è un diritto proprio di ciascun uomo, che si ha da proclamare e stabilire per legge in ogni ben costituita società, ed i cittadini hanno diritto ad una totale libertà che non deve essere ristretta da nessuna autorità ecclesiastica o civile” (cf. Mirari Vos del 15.8.1832). E mentre ciò temerariamente affermano, non pensano e non considerano che essi predicano la libertà della perdizione».
Aconfessionalità, laicità, separazione Chiesa-Stato e libero pensiero significano, da sentenze dei Pontefici, «libertà della perdizione»: oggi eretta a sistema. Contro questa rovinosa «peste collettiva» i Sovrani degni di tal nome ricorrevano alla Santa Inquisizione. Commenta Papa Pio XII il 6-10-1946: «Il tribunale per la tutela della Fede è un organo legittimo della potestà giudiziaria della Chiesa… Il suo ufficio è di reagire giuridicamente contro ogni attacco diretto a colpire uno dei suoi più importanti e vitali beni. I delitti dell’eresia e dell’apostasia non potevano né possono lasciare la Chiesa indifferente od inerte».
Purtroppo contro il Santo Tribunale si scagliano «non pochi uomini del nostro tempo». Sono coloro «il cui pensiero e il cui intimo senso si trovano sotto il fascino di una dottrina, che, escludendo ogni idea di soprannaturale e di rivelazione, attribuisce alla umana ragione la forza di comprendere a fondo il mondo, la prerogativa di dominare tutta la vita, e per conseguenza esige in ciò la piena indipendenza dell’uomo da qualsiasi vincolo di autorità».
Li descrive: «I suoi rappresentanti si appellano al principio della “libertà di coscienza”, al principio della “tolleranza” nelle materie concernenti la vita spirituale, sopratutto religiosa. Tuttavia troppo spesso essi stessi, appena conquistato il potere, non hanno avuto nulla di più urgente che di violentare le coscienze e di imporre alla parte cattolica del popolo un giogo opprimente, specialmente per ciò che si riferisce al diritto dei genitori nell’educazione dei loro figli».
Tutta questa macchinazione, riassumibile nella falsa massima “Libera Chiesa in libero Stato”, si estrinseca nell’apostasia legislativa (o Stato ateo e Chiesa sua vassalla) e nell’usurpazione della missione genitoriale: i giovani vengono corrotti nel’intelletto e nella morale soprattutto mediante la subdola scuola dell'obbligo. Il Pontefice si dice affranto e rivendica: «La Chiesa cattolica è una società perfetta, la quale ha per fondamento la verità della Fede infallibilmente rivelata da Dio. Ciò che a questa verità si oppone è necessariamente un errore e all’errore non si possono obiettivamente riconoscere gli stessi diritti che alla verità».
I moderni politicanti, con essi le guide cieche che fanno capo al Vaticano Secondo, riconoscendo all’errore gli stessi diritti della verità, logicamente concludono a detrimento della verità stessa!
Carlo Di Pietro da Il Roma