Non expedit è la formula che vietava ai cattolici di partecipare alla vita politica, soprattutto come risposta ai tanti territori rapinati alla Santa Sede dai cosiddetti “liberatori”. L’intento dei “risorgimentali” era quello di ripristinare in Italia il paganesimo, per conseguenza era necessario abbattere il potere temporale del Pontefice usando ogni sorta di persecuzione, calunnia e ruberia. Tuttavia: «Noi sappiamo dalle parole del Vangelo che in questa Chiesa e nel suo potere ci sono due spade, una spirituale ed una temporale. E chi nega che la spada temporale appartenga a Pietro, ha malamente interpretato le parole del Signore» (cf. Unam Sanctam, Papa Bonifacio VII).
L’Enciclopedia Cattolica (Imprim. 1952, Vol. VIII, coll. 1930-1932) racconta: «Dopo l’occupazione militare delle Marche e dell’Umbria, terre pontificie, e la proclamazione del Regno d’Italia, il Cavour mirava soprattutto a fare di Roma la capitale del nuovo Regno». «Sulla formula a lui cara: “Libera Chiesa in libero Stato” (traduco oltre ogni ipocrisia: Stato ateo e Chiesa sua vassalla, ndR), egli elaborò il discorso del 25 marzo 1861 alla Camera di Torino, concludendo che in qualunque modo, per accordi o senza, l’Italia sarebbe giunta a Roma (...)».
Prosegue: «Morto Cavour, la Questione romana appariva sempre più ardua e complicata. Per avviare i cattolici su una linea comune e coerente a norme inderogabili, don Giacomo Margotti, scrittore e polemista, fu il primo che, con la sua formula: Né eletti né elettori, in una lunga serie di articoli, lanciò e sostenne la massima di una doverosa astensione dei cattolici italiani dalla vita politica». «Tale formula, da principio, non poteva avere valore che di opinione personale e di consiglio; ma con la presa di Roma nel 1870 penetrò nella coscienza di molti e trovò seguaci specialmente nelle organizzazioni di Azione Cattolica. In quell’anno stesso alcuni deputati, primi fra essi il barone Vito d’Ondes Reggio e il marchese Ottavio di Canossa, rinunciarono al mandato parlamentare. Si può dunque far risalire virtualmente a quell’epoca, in potenza, se non in atto, il Non expedit che sanzionava il principio affermato da don Margotti. La prima dichiarazione ufficiale in proposito fu un decreto della Sacra Penitenzieria del 10 settembre 1877».
Ancora: «Intervenne Pio IX stesso, il quale, con un Breve del 29 gennaio 1877 al Consiglio superiore della Gioventù Cattolica, riprovava il procedere di coloro che spingevano i cattolici alle urne politiche, mentre la Santa Sede non aveva ancora definito se fosse lecito o meno, e a quali condizioni, prendervi parte. La grave dichiarazione troncò l’attività della corrente interventista [o dei “conciliatori”, contro i quali Papa Mastai Ferretti tuonava (v. nota 1): “Abbiamo saputo non senza dolore che alcuni, ingannati dai sofismi (dei conciliatori), hanno preferito l’opinione dei privati al nostro avviso, e son passati alla loro parte. Ci congratuliamo pertanto con voi (Società della gioventù cattolica italiana), che, benché vi contristiate per l’abbandono dei fratelli trasportati dal vento di fallace dottrina, non per questo vi lasciate commuovere, anzi, dal loro errore vi sentite eccitati ad accogliere con maggior piacere e a seguire con maggiore premura non solo i comandi, ma ben anche qualunque avviso di questa apostolica Sede”, ndR], ma non le discussioni circa l’opportunità di agire sul terreno parlamentare in opposizione alle influenze settarie e nell’interesse stesso della Santa Sede e dei cattolici».
Parola definitiva: «Il 30 giugno del 1888 un decreto della Congregazione del Sant’Uffizio, approvato da Leone XIII, sentenziava che, per ragioni di altissimo ordine, il Non expedit includeva una vera e propria proibizione (prohibitionem important - v. Quale debba, Leone XIII, ndR); così l’astensione diventava un comando». «La cessazione del Non expedit sarebbe avvenuta o con la revoca espressa da parte del Papa, o per naturale decadenza in seguito al mutamento delle condizioni politico-religiose».
«Papa San Pio X confermò le proteste dei predecessori e, in linea di massima, il divieto ai cattolici di prendere parte, come tali, alla vita politica. (…) Con l’Enciclica Il fermo proposito dell’11 giugno 1905, non revocò il Non expedit, ma aprì l’adito alla vita politica per i cattolici in circostanze speciali e, a modo di dispensa, quando la loro partecipazione fosse riconosciuta dai Vescovi, autorizzati a concederla, come strettamente necessaria per il bene delle anime e per i supremi interessi della Chiesa e della società che ad ogni costo bisognava salvare».
La Teologia morale (Roberti-Palazzini, Imprim. 1957, pag. 952) parla di «caso di coscienza»: «Potevano i cattolici cooperare con un governo che era in tali rapporti con la Chiesa? Il caso trovava la sua più pratica applicazione nell’esercizio del voto per le elezioni specialmente politiche».
I cittadini, quando esercitano un vero potere elettivo designando i membri della Camera, «diventano quindi, almeno indirettamente, corresponsabili nell’azione dello Stato stesso». Leggiamo ancora sul Roberti-Palazzini: «Se è un dovere grave recarsi alle urne, è un dovere ancora maggiore votare secondo coscienza, cioè eleggere candidati capaci ed onesti, i quali ispirino la loro azione politica ai principi della dottrina e della morale cristiana» (pag. 495).
E Pio XII: «La voce della coscienza impone ad ogni sincero cattolico di dare il proprio voto a quei candidati o a quelle liste di candidati che offrano garanzie veramente sufficienti per la tutela dei diritti di Dio e delle anime, per il vero bene dei singoli, delle famiglie e della società, secondo la legge di Dio e la dottrina morale cristiana».
Per concludere: «Mediante il voto noi mettiamo nelle mani degli eletti un grande potere sia per il bene come per il male, e quindi assumiamo indirettamente la responsabilità di quanto essi compiono nell’esercizio e in forza del loro mandato (…). Chi scientemente ed efficacemente vota per candidati indegni è responsabile di cooperazione al male e contrae anche l’obbligo di riparare, per la parte della sua responsabilità, i danni che i suoi eletti recheranno alla società, ai singoli cittadini e alla Chiesa».
Carlo Di Pietro da Il Roma
(1) Lettere e discorsi dei sommi pontefici Pio IX e Leone XIII alla Società della gioventù cattolica italiana dal 1868 al 1879, Udine 1893, II, p. 180.