Alla pagina 7 del Quaderno VIII della Nuova Alleanza, bollettino di formazione politica - nelle intenzioni - cristiana, il giurista Carlo Francesco D’Agostino (Centro Politico Italiano) torna a dimostrare che, alla luce dei fatti, «ragionevolezza impone che si neghi ogni fiducia ai Partiti insediati in Parlamento». Quindi prova a risolvere alcune questioni, fra cui la cosiddetta del «capitale-lavoro».
Lo scritto è degli anni ’70, tuttavia, nonostante il moltiplicarsi delle massive e reiterate vessazioni cui la nostra Nazione è vittima (ingerenze sovranazionali - prevaricazioni settarie - mafie politico/finanziarie), non ha perso la sua attualità. Sbaglia chi ritiene che si tratta solamente di «un problema di carattere economico, cioè di una migliore distribuzione della ricchezza». Nonostante ci siano ancora molte condizioni affinché la nostra economia possa «godere di una situazione di prosperità tutt’altro che scarsa», sovente assistiamo al moltiplicarsi di «richieste di miglioramenti, sostenute da lotte animose, non aliene da violenze, appoggiate da potenti Organizzazioni, con grave danno per l’insieme dell’economia nazionale». Situazioni così evidenti che «non occorre scendere a dettagliarne le prove».
Secondo D’Agostino, lo spirito animatore di queste lotte è la pretesa di «guadagnare di più lavorando di meno», in un «vago intento di parificazione di comodità di vita tra i varii ceti come tra individui di diverse capacità». Prosegue: «La sete di maggior benessere, associata al disamore per il lavoro e per il sacrificio, comporta senza limiti irrequietezza ed astiosa ricerca di capri espiatorii». Al fondo del problema egli vede «la necessità di una educazione a ben diverso, e benefico, costume morale, nell’interesse stesso di una vita quanto più possibile felice per i lavoratori».
La cosiddetta Repubblica realizzata negli anni 1946/48, «nata dall’intesa tra Partiti teoricamente di opposti indirizzi, vantata come “fondata sul Lavoro”», ha voluto assicurare appena un «diritto allo sciopero», il che implica «non aver tutelato, come si poteva e si doveva, la dignità e le legittime aspettative dei lavoratori». Già dai primi anni del 1900 «si insinuarono e prevalsero quei “falsi intellettuali che si andavano orientando verso il socialismo scientifico e che dovevano dar vita al Partito Socialista” (cita R. Rigola)». Cosicché «il concetto pseudo-scientifico del materialismo marxista sopraffece, sul piano organizzativo, le oneste tendenze delle masse, che allora (dopo il preteso “Risorgimento”) erano veramente “proletarie”». All’epoca neanche i moniti di Papa Leone XIII e di san Pio X riuscirono «ad arginare la crescente ondata di sopraffazioni, odii e violenze, che raggiunse il culmine nel primo dopoguerra (anno 1918 ss.)».
Durante il periodo fascista si poté sperare in «un’alba di rinascita», con la «restituzione al Sovrano dei poteri di cui era stato progressivamente spogliato in un primo tempo dalla dittatura demo-liberale», e con il preannuncio «da parte del demagogo romagnolo (Mussolini) di un ritorno alle tradizioni cattoliche cui ci si era avviati con i grandi eventi del febbraio 1929». Purtroppo «le ambiguità del ventennio mussoliniano sono a tutti note».
Il Centro Politico Italiano dedica alla «questione sociale», già nell’autunno del 1943, cinque dei diciotto «Principii Direttivi obbliganti» dell’«Indirizzo Programmatico del Partito». Fa presente che «i problemi del riassetto politico-sociale sono strettamente interdipendenti» e che «una riforma risanatrice per i rapporti tra capitale e lavoro, come non può andar disgiunta dalla vigile cura per una restaurazione del costume morale, così esige una ristrutturazione dell’intero Ordinamento statuale», quale sarà ulteriormente sviscerato nei nostri prossimi articoli.
Papa Leone XIII nella «Rerum Novarum», con sapiente lucidità, insegna: 1) «Si deve sopportare la condizione propria dell’umanità: togliere dal mondo le disparità sociali, è cosa impossibile»; 2) «Nella presente questione, lo scandalo maggiore è questo: supporre una classe sociale nemica naturalmente dell’altra»; 3) «L’insegnamento cristiano, di cui è interprete e custode la Chiesa, è potentissimo a conciliare e mettere in accordo fra loro i ricchi ed i proletari, ricordando agli uni ed agli altri i mutui doveri incominciando da quello imposto dalla giustizia»; 4) «La Chiesa mira a riavvicinare il più possibile le due classi, e a renderle amiche, (...) elevando l’animo ad un’altra vita, ossia a quella eterna, senza la quale la vera nozione del bene morale necessariamente si dilegua»; 5) «Chi ha ingegno, badi di non tacere; chi ha abbondanza di roba, si guardi dall’essere troppo duro di mano nell’esercizio della misericordia; chi ha un’arte per vivere, ne partecipi al prossimo l’uso e l’utilità; 6) «Ai poveri poi, la Chiesa insegna che innanzi a Dio non è cosa che rechi vergogna né la povertà né il dover vivere di (onesto e sudato) lavoro»; 7) «(La questione, per concludere, si risolve davvero) obbedendo alla legge evangelica».
Prosegue …
A cura di Carlo Di Pietro da Il Roma