Un eremita aveva la sua celletta molto lontano dal luogo dove era costretto a recarsi per attingere acqua. Tutto stanco e quasi sfinito dalla penitenza, un giorno cominciò a dire tra sè: «Ma perchè fare questo lungo cammino? Perchè devo tenere la cella così lontano dalla fonte d’acqua? Ci devo pensare subito, proprio subito: la cella e la fonte devono essere adiacenti». Era tutto immerso in questi pensieri quando, un mattino, avendo riempito un piccolo secchio d’ acqua, stava tornando alla sua cella. Intanto, dietro a sé,udì un lieve rumore di passi ed una voce sommessa, la quale contava: «uno, due, tre, quattro, cinque ...». Meravigliato che in quel deserto si potesse udire una voce umana, si voltò repentinamente e non vide neppure l’ombra d’una persona. Riprese così il cammino, tuttavia non cessavano né la voce, né il rumore dei leggeri passi. Si voltò ancora e non vide nulla. «Ma come è possibile - disse l’eremita con se stesso - questa cosa?». Intanto procedeva nel cammino trasportando il secchio pieno d’acqua. Ma, ecco ancora, per la terza volta, il suono dei passi e della voce. Per un poco non volle volgere gli occhi indietro, ma poi non poté resistere e guardò, per la terza volta, cercando di capire chi fosse quel che camminava e contava. Vide allora un giovane tutto risplendente di luce celeste, il quale gli disse: «Io sono il tuo angelo custode e vado numerando i passi che ogni giorno fai dalla cella alla fonte, per raccogliere così i tuoi meriti e presentarli a Dio». Allora il solitario comprese tutto, e, per non perdere tanti meriti che guadagnava tutti i giorni con quel disagio, non pensò più a costruirsi la cella accanto alla fonte. La lezione che da questo episodio noi dobbiamo raccogliere è davvero stupenda. Iddio non conta che i patimenti che noi sosteniamo per amor Suo nella vita presente: le gioie che possiamo godere sono tutta roba perduta. Ah, se arrivassimo a comprendere la bellezza dei patimenti!
(Tratto da Giacinto Belmonte cappuccino, Racconti miracolosi, 1887, con permesso dei Superiori, vol. II, pagine 252 - 253).
A cura di Carlo Di Pietro