• Una volta in cui il Padre Giovanni assieme ad altri fratelli saliva da Scete, la loro guida smarrì la strada, poiché era notte. I fratelli dicono al padre Giovanni: «Padre, che cosa facciamo? Poiché il fratello ha perso la strada. Non moriremo errando?». Dice l’anziano: «Se glielo diciamo, ne proverà dolore e vergogna. Ma ecco, io dirò: - Non posso camminare, mi fermo qui fino all’alba». Allora anche gli altri dissero: «Non andiamo nemmeno noi, ma ci fermiamo qui con te». Aspettarono fino all’alba, e in tal modo il fratello non fu mortificato (209cd; PJ XVII, 7).
• Vi era a Scete un anziano molto zelante nelle fatiche del corpo, ma non acuto nei pensieri. Venne dal padre Giovanni a interrogarlo sulla smemoratezza. Ascoltò le sue parole, ritornò nella sua cella, e si dimenticò ciò che l’Abate Giovanni gli aveva detto. Si recò allora da lui un’altra volta, udì le stesse parole e se ne andò. Ma quando fu arrivato alla sua cella, le aveva già dimenticate. E così per parecchie volte: andava, ma, mentre ritornava indietro, cadeva vittima della dimenticanza. In seguito incontrò l’anziano e gli disse: «Sai padre, che ho dimenticato ancora quello che mi hai detto? Ma, per non disturbarti, non sono venuto». Il padre Giovanni gli disse: «Va’ e accendi una lucerna». L’accese. Gli disse ancora: «Prendi delle altre lucerne e accendile alla sua luce». Quando lo ebbe fatto, gli chiese: «È forse diminuita la luce della prima lucerna perché da quella hai acceso le altre?». Dice: «No!». E l’anziano a lui: «E nemmeno Giovanni; anche se tutta Scete venisse da me, non mi sarebbe di ostacolo alla grazia di Cristo; perciò vieni quando vuoi, senza esitare». E così, per la pazienza di entrambi, il Signore liberò quell’anziano dalla smemoratezza. Questo è il compito dei monaci di Scete, dare coraggio a coloro che sono tentati e fare violenza a se stessi, per guadagnarsi reciprocamente al bene (209d-212b; PJ XI, 15).
• Un fratello chiese al padre Giovanni: «Che devo fare? Perché spesso viene un fratello per darmi l’incarico di qualche lavoro, ma io sono misero e debole, il lavoro mi sfinisce. Che devo fare quando ricevo un ordine?». L’anziano gli rispose: «Caleb disse a Giosuè, figlio di Nun: - Avevo quarant’anni quando il servo del Signore, Mosè, mandò me e te dal deserto in questa terra. E adesso ho ottantacinque anni. Come allora, anche ora posso entrare e uscire in guerra. E così anche per te: se puoi entrare e uscire dalla tua cella, va’; ma se non puoi, rimani nella tua cella a piangere i tuoi peccati. E se ti troveranno in stato di lutto, non ti costringeranno a uscire» (212bc; PJ XI, 16).
• Il padre Giovanni chiese: «Chi ha venduto Giuseppe?» (cfr. Gn., 27, 38). «I suoi fratelli», rispose uno. «No! - gli dice l’anziano - la sua umiltà l’ha venduto. Avrebbe potuto dire: -Sono loro fratello, e resistere. Invece, tacendo, egli stesso si è venduto con la sua umiltà. E la sua umiltà lo ha costituito capo dell’Egitto»
• Il padre Giovanni disse: «Se lasciamo il carico leggero, cioè l’accusa di noi stessi, ci carichiamo di quello pesante, cioè la giustificazione di noi stessi» (212d).
• Lo stesso padre disse: «L’umiltà e il timore di Dio superano ogni altra virtù» (PJ XV, 22b).
Tratto da Vita e detti dei Padri del deserto, edizione Città Nuova, 1999.