Prevedo alcune obiezioni. Bella poesia, - esclamerà qualcuno, - degna d’una ingenua fede e del sogno infinito dei mistici! Ma è cosa che non fa per noi. Noi non siamo trappisti né carmelitane; siamo gente d’affari, uomini di mondo, persone di casa: siamo falegnami, banchieri, ingegneri, impiegate, maestre, operaie; chi mai potrebbe concepire uno di noi tramutato in un tale... “telefonista”? Quando io sento osservazioni simili, scrollo la testa. Invitandovi a divenire “telefonisti”, vi ho forse detto di lasciare le vostre famiglie, le vostre professioni, le industrie? Ma no, per carità! Tutto ciò che riguarda il campo e la materia della vostra attività esteriore, può continuare; solo bisognerà evitare il male; ad esempio, il banchiere non dovrà più rubare, l’impiegata dovrà meglio attendere al suo dovere e così via. Nulla di straordinario, adunque. Non si tratta di incappucciarsi col saio d’un frate o di ricoprirsi col velo monacale. Per nulla, affatto! Si tratta di dare un senso cristiano alla vostra vita. Il pensare di quando in quando, con una giaculatoria, al Signore; l’offrirgli le azioni della nostra giornata; il pregare in chiesa in un modo degno di questa parola, sono proprio cose impossibili, da lasciarsi alle anime mistiche o dedite alla contemplazione? Non avete forse anche voi un’anima da salvare? Non andate forse talvolta in chiesa per implorare grazie? Non dite forse di credere a Dio? E se vi credete, come mai potete rifiutarvi di rivolgervi a Lui e di diventare un buon “telefonista”? La mamma di famiglia continui a curare la sua casa; l’ingegnere prosegua nelle sue costruzioni; ognuno compia gli obblighi del proprio stato; ma tutti, nessuno escluso, possono e debbono finirla con una vita cristiana solo di nome, nauseante agli occhi di Dio ed allo sguardo della stessa nostra coscienza. Si dirà: - Ma io non so pregare! Non ho mai pregato davvero in vita mia! Ho frequentato le chiese ed i Sacramenti; ma non so come parlare al Signore... Ed io rispondo: - Non mi meraviglio di questo; ricorrete al “telefono” e saprete pregare all’istante. Mi spiego. Per “telefonare a Dio”, non occorrono formole speciali, né lunghe orazioni. Ricordiamo il buon vecchietto, (un fior d’analfabeta, povero contadino!), del quale leggiamo un affascinante episodio nella vita del santo Curato d’Ars. Il povero uomo se ne stava lunghe ore in chiesa, immobile, dinnanzi al Tabernacolo; ed un giorno il santo suo Curato gli chiese: «Cosa fate durante tutto questo tempo? Quali orazioni recitate? Cosa dite al Signore?». Ed il vecchietto, sorpreso: «Nulla dico. Nessuna orazione. Io guardo Lui; e Lui guarda me». - Quale ottimo “telefonista”! Se lo imitassimo tutti!... Se tutte le anime buone di quando in quando ne seguissero l’esempio! «Io guardo Lui; Lui guarda me»; c’è un metodo più facile per “telefonare”? Del resto, nelle pagine seguenti, a coloro che si rifiutassero di entrare nella “sezione telefonisti” col pretesto dei loro affari, delle loro imprese e simili cose, sarà data una risposta esauriente; ed anch’essi si convinceranno. Per ora, vorrei piuttosto preoccuparmi un istante delle persone di fede, che avranno esultato ed applaudito la proposta del “telefono”, ma che non vorrei cadessero nella trappola di alcuni errori o nel laccio di certi preconcetti. Innanzi tutto, il buon “telefonista” detesta i colli torti, gli eredi del fariseismo, che per pregare hanno il vezzo o il vizio di dar nell’occhio degli altri per suscitare ammirazione e plauso, o che fanno la faccia oscura, che abbassano gli occhi a terra, che si mascherano di compunzione con un muso tale, che pare vogliano mettere in fuga tutti i gatti del vicinato. Chi vive unito a Dio, ha in sé la fonte della letizia; ed anche nel dolore è rassegnato e comprende come san Paolo ripetesse: «Sovrabbondo di gioia in mezzo a tutte le tribolazioni». Se non siamo contenti noi, che abbiamo nel cuore Iddio, chi mai sarà contento su questa terra? Nessuno, poi, deve accorgersi del nostro “telefono”. Stiamo ridendo, scherzando, chiacchierando; è il momento più propizio per mandare una “telefonata” rapidissima al nostro Gesù. Le labbra non debbono muoversi; deve vibrare solo il cuore. È questo che Egli vuole! E non lamentatevi, anime buone, perché anche voi non sapete pregare, oppure perché avete dei periodi di aridità. Li ha sofferti, e terribili, anche santa Teresa del Bambino Gesù; ma - da squisita “telefonista” - paragonava la sua aridità all’oscurità di un tunnel, sotto il quale il Signore voleva che il treno della sua vita passasse; anche dalle tenebre fitte, però, ella mandava il suo saluto al Sole; sospirando l’ora di contemplarlo. Ancora: non lo si ripeterà mai abbastanza: chi impara a “telefonare”, impara a far bene tutte le sue pratiche di pietà. Ad esempio: la Comunione del mattino assume un altro aspetto. Le “telefonate” del giorno precedente e del mattino stesso sono il miglior preparamento alla Comunione; ed il lavoro, offerto a Dio, ne diviene poi lo splendido inno di grazie. La Comunione è il momento in cui, dopo tante “chiamate telefoniche”, Gesù viene in un’anima e si unisce intimamente e sacramentalmente con lei; è il momento in cui Egli parla e benedice. Non v’è più in questo caso un distacco fra la Comunione ed il resto della giornata; tutto è armonicamente connesso ed è per tale motivo che torna facile comunicarsi bene, e spesso, con fervore. Così si dica della Confessione: se siamo abbonati assidui del “telefono”, il dolore dei nostri peccati non sarà ardua impresa. Basta pensare a Lui, ai Suoi castighi, al Suo Cuore, alla Sua Passione, al Suo Cielo, al Suo Amore, e tutto è fatto. Né esistono eccessive difficoltà per abituarsi a telefonare. In poco tempo l’arte si apprende; superati, poi, i primi scogli, i progressi sono rapidissimi. Parlate a Dio, come parlereste ad un amico, ad un padre, ad un benefattore. Non si esigono frasi studiate, vocaboli ricercati; parlate con tutta la semplicità e la spontaneità dell’amore filiale. Mi ricordo che, in un Collegio delle Suore Marcelline a Milano, predicavo gli Esercizi Spirituali alle fanciulle che si preparavano al primo bacio di Gesù Eucaristico. Le vedo ancora dinnanzi a me quelle piccole, pendenti dal mio labbro, tutte piene d’attesa del gran giorno della loro prima Comunione. Ed io, proprio all’inizio degli Esercizi, dissi loro: «Figliuole, stasera voi andrete alle vostre case e verrà l’ora del riposo. Siete capaci di ricordarvi d’una cosa? Fate un bel nodo sul nasino, sapete...; altrimenti son certo che vi dimenticate. Dunque, quando sarete nel vostro piccolo letto ed avrete recitate le preghiere della sera, rivolgetevi al vostro Angelo, che sempre vi sta accanto, e ditegli così: - Senti, caro Angelo bello, fammi un favore. Vola un istante alla chiesina del Collegio, ove a giorni farò la prima Comunione. Va’ là; accostati al Tabernacolo del mio Gesù; portagli il mio bacio ed il mio saluto. - Vi ricorderete, figliuole?». Tutti i visini commossi mi rispondevano di sì; ed attraverso gli occhi innocenti pareva che brillasse qualche raggio di luce del loro Angelo. Ed io proseguivo: «Pensate, figliuole, quale scena meravigliosa avverrà allora questa notte in questa Cappella. Tutto sarà silenzio e tenebre. Nessuno sarà qui. Solo sarà presente Gesù, il quale penserà e guarderà a voi, alle vostre case, al vostro piccolo cuore. Dinnanzi a Lui, la lampada... La vedete la lampada, con la fiammella tremula che parla a Gesù, anche quando noi tacciamo e siamo immersi nel sonno?... E verranno i vostri Angeli... Entreranno ad uno ad uno... Si accosteranno al Tabernacolo; porteranno a Gesù il vostro bacio, il vostro saluto, il vostro pensiero... E Gesù sarà tanto contento!... Vi ricorderete, figliole?». «Sì, sì», esclamarono con gli occhi imperlati di lacrime, lacrime dolci e pure, che il divino Amico dei fanciulli avrà raccolto, come le raccoglieva un dì sotto il cielo della sua Palestina... Mantennero la parola. Ad ogni predica, io rammentavo loro la promessa e l’Angelo; e m’accorgevo dalla espressione stessa del loro viso e dello sguardo, che l’appello non era rivolto invano. Anche quelle piccole non erano eccellenti “telefoniste”?

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