Dopo d’aver visto cos’è la grazia, è chiaro com’essa ci eleva all’ordine soprannaturale in questa vita, per farci conseguire la vita eterna, ossia il paradiso, nell’altra. La Scrittura non separa mai la nostra adozione divina dalla nostra destinazione all’eredità stessa di Dio, alla visione intuitiva di Lui. La grazia, per questo rispetto, è simile alle lampade accese, nascoste in vasi di terra cotta, che Gedeone, nella battaglia contro i Madianiti, diede ai suoi trecento forti. Quando, nel silenzio della notte, il vaso venne spezzato, fu sgominato il nemico e messo in fuga. Così anche noi: quando il fragile vaso di terra, che è il nostro corpo, si spezzerà nella notte della morte, risplenderà la lampada dell’anima nostra, accesa di splendore dalla grazia di Dio; il demonio sarà sconfitto e, come i trecento di Gedeone, canteremo vittoria. I secoli cristiani e la grazia. Tutti i secoli cristiani hanno discusso intorno alla grazia e mille dibattiti sono sorti, mille errori sono stati propugnati. Le dottrine di Pelagio, nel secolo V, - propagatesi specialmente in Africa, - che per affermare la natura e le sue forze negavano la necessità della grazia, ed il semipelagianesimo della Gallia e di Cassiano di Marsiglia trovarono in Sant’Agostino la confutazione esauriente e nei Concili la riprovazione recisa. Lutero e Calvino caddero nell’eccesso opposto; e per affermare i diritti e la necessità della grazia, disprezzarono e rinnegarono la natura, la libertà e le opere buone. Ma il Concilio di Trento, con una condanna (in seguito ripetuta contro le teorie di Giansenio), anche contro i Riformatori scagliò l’anatema. La dottrina cattolica evita i due estremi. Essa non nega né la natura, né la soprannatura; né l’uomo, né Dio; né la libertà, né la grazia. I teologi (e basterebbe ricordare le discussioni del secolo XVI fra la scuola del Molina e l’altra dei Baneziani) discuteranno intorno al modo con cui i due termini si uniscono; ma i due anelli della catena, per dirla col Bossuet, sono sempre tenuti con mano ferma. Nell’epoca nostra, purtroppo, il naturalismo ha trionfato; dall’Umanesimo e dal Rinascimento in poi, si è fatto di tutto per esaltare l’uomo e per rifiutare la grazia di Dio. L’uomo deve bastare a se stesso, gridano apertamente alcuni; la trascendenza deve lasciare libero posto all’immanenza; il vero Dio siamo noi, e ilpensiero, la ragione, l’azione umana. Persino i credenti sono sotto l’influsso di quest’atmosfera micidiale, avversa al soprannaturale. Non mancano i superficialoni, che grossolanamente confondono la fratellanza, ad esempio, della Rivoluzione francese con la fratellanza cristiana (quest’ultima importa la nostra adozione divina; elevati all’ordine soprannaturale, noi siamo figli d’uno stesso Dio, di uno stesso Padre e perciò siamo fra noi fratelli; - cosa c’entra questo con l’ideologia rivoluzionaria?). Non mancano coloro che fremono di commozione, quando leggono Seneca, Marc’Aurelio, oppure l’invocazione di Emanuele Kant al dovere (quasi che il dovere, ossia l’attività umana, moralmente buona, bastasse e non occorresse anche la grazia che la divinizzi). Non è, infine, raro il caso di incontrarsi con cristiani che apprezzano i Sacramenti, ossia i canali della grazia, da un punto di vista puramente naturalistico. Per essi, la confessione è un’ottima scuola educativa, con l’umiliazione che impone, col conforto ed il consiglio che offre; il matrimonio è un eccellente mezzo per dar solennità al giuramento di mutua fedeltà degli sposi; l’Eucaristia è il simbolo soave dell’unione di tutti i fratelli, stretti intorno alla mensa comune. In tale modo si scoronano i Sacramenti della loro caratteristica divina, si disconosce la loro soprannaturalità, si trascura l’effetto principalissimo ed essenziale per cui Cristo li ha soprattutto istituiti: vale a dire, si trascura o almeno non si apprezza la grazia. Un giorno, sulla via del Calvario, una donna, pietosamente gentile, rompendo la folla, s’accostò a Gesù, per tergergli il dolce volto con un bianco lino; ed il Salvatore impresse in esso la sua effigie augusta. Anche noi prenderemo le nostre anime, e le avvicineremo a Lui, perché la Sua grazia vi incida la sua immagine bella e divina. È l’unica via per poter organizzare divinamente la nostra vita; per poter vivere non come bruti, né come semplici uomini, ma come figli di Dio; per poter dire insieme a San Paolo, con un senso di cristiana fierezza e con santità di gioia: «Vivo io, ma non sono io che vivo; è Gesù Cristo che vive in me».
Riepilogo. L’uomo viene elevato all’ordine soprannaturale mediante la grazia. La grazia: a) è un dono di Dio, poiché l’uomo non ha nessun diritto od esigenza alla sua divinizzazione; b) è un dono gratuito, poiché, con tutta la nostra attività mai potremmo meritare di superare la natura umana; c) è concessa a noi per i meriti di Cristo, che è l’unica sorgente della grazia, cosicché non si può scindere Gesù Cristo dalla grazia; d)ci rende figli di Dio, poiché Gesù Cristo, unendoci a sé e facendoci partecipi della natura di Dio, ci eleva alle altezze della adozione divina; e) ci fa capaci di opere meritorie, in quanto le azioni dell’uomo in grazia non costituiscono un’attività puramente umana, ma un’attività divinizzata; f) ci dà il diritto alla vita eterna, ossia al paradiso. Dopo di aver guardato le alte cime della divinizzazione, alle quali l’amore di Dio ha chiamato le sue creature intelligenti, dobbiamo ora assistere ad una caduta disastrosa. Da un lato, avremo la creazione, l’elevazione all’ordine soprannaturale e la caduta degli Angeli; dall’altro lato, la creazione, l’elevazione e la caduta dell’uomo. Duplice scena; Incomprensibile l’una e l’altra, se non ci poniamo dal punto di vista del soprannaturale.
La grazia ed il paradiso. I secoli cristiani e la grazia. Da Il Sillabario del Cristianesimo, mons. F. Olgiati, Vita e Pensiero, Milano, 1942. SS n° 13, p. 3 - 4