Affinché il peccatore abituato esca dal suo stato, bisogna che Dio lo svegli con voce grande e potente, come fu quella con cui Gesù Cristo chiamò Lazzaro dal sepolcro: Voce magna clamavit: Lazare veni foras (Ioann. XI,43) perché i consuetudinari sono sordi spiritualmente. Ma Iddio non è punto tenuto a tale miracolo; l’abitudine poi oppone un ostacolo al miracolo della risurrezione spirituale. Di Lazzaro sta scritto che aveva mani e piedi legati e la faccia avviluppata in un sudario: Ligatus pedes et manus institis et facies illius sudario erat ligata (Ioann. XI,44): e quest’è la lacrimevole condizione del peccatore abituato... or, come uscire da questa tomba? Udite Seneca che discorrendo della concupiscenza, la quale trascina all’abitudine del male chi l’asseconda, dice: «Voi non giungerete mai a ottenere che s’acqueti, se le darete libertà d’incominciare; torna assai più facile tenerla affatto lontana, che scacciarla quando sia entrata». «Uccidi il nemico mentre è debole», grida san Girolamo: e non trascurare le piccole cose, soggiunge san Gregorio, perché, insensibilmente sedotto, commetterai le più gravi. Allora poi si pecca senza rimorso, e, giunti a questo punto di perversità, non v’è più rimedio. Tale è l’orribile stato del consuetudinario. Chi aggiunge colpa a colpa ha il cuore traviato, dice Dio tramite il Salmista, egli non conosce le mie vie, ed ho perciò giurato nel mio sdegno, che non entrerà nel luogo del mio riposo: Semper hi errant corde; et isti non cognoverunt vias meas; ut iuravi in ira mea; si introibunt in requiem meam (Psalm. XCIV,10-11). Ah! «i perversi ben difficilmente s’emendano, esclama l’Ecclesiaste, e stragrande è la turba degli insensati ». - Perversi difficile còrriguntur, et stultorum infinitus est numerus (Eccl. I, 15). «Non da ferro nemico, ma dalla mia ferrea volontà io ero legato, confessa sant’Agostino; la mia volontà stava in balìa del mio nemico, ilquale si era fatto di essa una catena con cui mi teneva stretto». «E con tante catene il peccatore avvinghia se stesso, soggiunge san Gregorio, quante volte ricade nella colpa». Per enormi e orrendi che siano i peccati, scrive sant’Agostino (Enchirid. c. LXXX), se avviene che diventino abito, sono considerati come leggeri, ed anche non più tenuti in conto di veri peccati; a tal punto che non solo non si tengono celati, ma si ostentano. I consuetudinari non si correggono, dice la Scrittura, perché sono pazzi. E come no? Mentre in 1° luogo il peccato è il sommo della pazzia, perché scombuia la ragione e soffoca il desiderio della virtù. Ilpeccatore antepone la creatura al Creatore, che è a dire un centesimo a tesori immensi, un granellino di frumento ad una ricchissima messe, il fango all’oro, una stilla d’acqua al mare, un mortifero veleno alla grazia ed alla vita eterna. Oh Dio, che insensatezza! 2° Ripetendo i peccati si contrae l’abitudine, questa mena alla necessità. Conoscete voi follia più funesta? Si perfidia ostinatamente, si fa pompa del male. 3° Si ricusa ogni emendazione, si spregiano gli avvertimenti e le persone che per impulso di carità riprendono. Si fuggono i rimedi, si vuol rimanere nella malattia. Ah qui, più che sragionevolezza, più che stupidità, bisogna dire che vi è il colmo della pazzia. La Scrittura dà a questa follia morale il nome di carestia del cuore, - egestas cordis - e chiama i peccatori abituati uomini senza cuore - Indigentes corde - cioè privi dell’uso della volontà (Prov. XI, 12). «Giunto l’empio in fondo all’abisso del male, tutto disprezza», dicono i Proverbi: - Impius cum in profundum venerit peccatorum, contemnit (Prov. XVIII,3). A ragione pertanto scriveva il poeta: Arresta la passione in sul nascere, chè troppo tardi giungerà il rimedio, se lasci che il male abbia tempo a far progressi. ...
Quanto sia difficile lasciare la cattiva abitudine del peccato. Da I tesori di Cornelio ALapide, Commentari dell’ab. Barbier. SS n° 3, p. 8