Quindi nel citato luogo (San Tommaso d’Aquino, cit. lib. Contra Gentes cap. 160) dice così: Cum enim mens hominis a statu rectitudinis declinaverit, manifestum est quod recessit ab ordine debiti finis... Quandocunque igitur aliquid occurrerit conveniens inordinato fini, repugnans fini debito, eligetur, nisi reducatur ad debitum ordinem ut finem debitum omnibus praeferat, quod est gratiae effectus. Dum autem eligitur aliquid quod repugnat ultimo fini, impedimentum praestat gratiae quae dirigit in finem: unde ab omni peccato, antequam pergratiam ad debitum ordinem manifestum est quod post peccatum non potest homo abstinere reducatur... Unde apparet stulta Pelagianorum opinio, qui dicebant, hominem in peccato existentem sine gratia posse vitare peccatum. Ed appresso poi scrive le parole di sopra già rapportate, Quamvis autem illi etc. di cui si servono i contrari. Sicché per prima l’intento di san Tommaso non è di provare che alcuni peccatori sono privi d’ogni grazia attuale, e con tutto ciò non potendo evitare ogni peccato, pure pecchino, e siano degni di pena, ma l’intento è di provare contro i Pelagiani, che l’Uomo stando senza la Grazia santificante non può astenersi di peccare. E già si vede che qui certamente parla il Santo della Grazia santificante, poiché questa è quella che solamente riduce l’Anima nell’ordine retto. Ora di questa medesima Grazia santificante intende parlare, dicendo appresso, Nisi auxilio gratiae praeveniantur; volendo dire che se il peccatore non è prevenuto, cioè non è prima informato dalla Grazia, e ridotto nell’ordine retto di tenere Dio per ultimo fine, non può evitare di commettere nuovi peccati. E così l’intendono i Tomisti, come il Ferrariese in detto luogo, e il Gonet dichiarando questo medesimo luogo. Ma senza ricorrere ad altri, ciò si fa evidente da quello che dice lo stesso san Tommaso nella Somma, dove parla dello stesso punto, e porta identiche le stesse ragioni, colle stesse parole che scrisse nel libro Contra Gentes nel citato Capo 160, ed ivi espressamente non parla che della sola Grazia abituale o sia santificante. E non poteva essere che il Santo Dottore l’intendesse altrimenti, mentre Egli altrove da una parte insegna che a nessuno manca mai la Divina Grazia, come dice commentando san Giovanni: Sed ne credas effectum ipsum esse ex remotione verae lucis, hoc excludens Evangelista subdit: Erat lux vera, quae illuminat omnem hominem. Illuminat scilicet Verbum, quantum de se est, quia ex parte sua nulli deest, imo vult omnes homines salvos fieri Quod si aliquis non illuminatur, ex parte hominis est avertentis se a lumine illuminante. E dall’altra parte insegna non esservi peccatore così perduto ed abbandonato dalla grazia, che non possa deporre la sua ostinazione, e unirsi colla Divina Volontà, il che non può fare certamente senza l’aiuto della Grazia: In statu viae nullus est qui mentis obstinationem non possit reponere, et sic Divinae voluntati conformari. In altro luogo dice: Quandiu manet homini usus liberi arbitrii in hac vita... potest se praeparare ad gratiam de peccatis dolendo. Il pentirsi dei peccati non può farsi senza la grazia. In altro luogo dice: Aliquis homo in statu viae non potest esse ita obstinatus in malo, quin ad suam liberationem cooperari possit. Il cooperare importa necessariamente che vi sia l’aiuto della grazia. In altro luogo sulle parole di san Paolo, Vult omnes salvos fieri, dice: Ideo gratia Dei nulli deest, sed omnibus quantum in se est se communicatao. In altro sulle stesse parole dell’Apostolo, Vult omnes etc. dice: Deus quantum in se est, paratus est omnibus dare gratiam. Illi ergo soli gratia privantur, qui in seipsis gratiae impedimentum praestant; et ideo excusari non possunt, si peccent. E dicendo il Santo, Paratus est omnibus dare gratiam, non intende già parlare della grazia attuale, come di sopra abbiam veduto, ma della sola santificante. Onde giustamente il Cardinal Gotti confuta alcuni, i quali dicono che Dio tiene apparecchiati appresso di sé gli aiuti sufficienti alla salute, ma in fatti non li dà a tutti. Che servirebbe all’infermo (dice questo dotto Autore), se il Medico solamente tenesse appresso di sé preparati i rimedi ma poi non volesse applicarglieli? Quindi parlando a proposito del nostro punto, conclude doversi necessariamente dire: Deus nedum offerre, sed etiam conferre singulis hominibus, et infidelibus, et induratis auxilia sufficientia, vel proxima, vel saltem remota, ad observanda praecepta. Del resto dice san Tommaso che i soli peccati dei Demoni, e dei Dannati non possono cancellarsi per la penitenza, ma all’incontro: Dicere quod aliquod peccatum sit in hac vita, de quo quis poenitere non possit, erroneum est... quia per hoc derogaretur virtuti Gratiae. Se ad alcuno mancasse la Grazia, certamente non potrebbe pentirsi. Oltreché, come abbiam già veduto di sopra, lo stesso san Tommaso insegna espressamente in più luoghi, specialmente nel commento al capo 12, di san Paolo ad Hebr. che Dio a nessuno nega in quanto a sé la grazia necessaria a convertirsi, dicendo: Gratia Dei nulli deest, sed omnibus quantum in se est, se communicat. Onde con ragione asserisce il dotto Autore della Teologia ad uso del Seminario Petrocorense: Non nisi ergo calumniose S. Thomae inputari potest quod peccatores aliquos a Deo totaliter deseri docuerit. Parlando di tal punto il Cardinal Bellarmino, saviamente distingue, e dice che in quanto all’evitare i nuovi peccati, ogni peccatore, ed in ogni tempo ha l’aiuto almeno mediato: Auxilium sufficiens ac necessarium ad vitanda peccata omnibus, et omni tempore, vel immediate vel mediate, a Divina benignitate praestatur...Dicimus veldiate, quoniam certum est aliquos non habere auxilium, quo possint a Deo majora praesidia impetrare, quibus adjuti peccata vitabuntat. In quanto poi alla grazia di convertirsi, dice che questa non è data in ogni tempo al peccatore, ma che nessuno resterà mai abbandonato in tal modo, ut certo et absolute per omnem vitam destituatur auxilio Dei, ut de salute desperare possit. E lo stesso dicono i Teologi Tomisti suoi Discepoli. Dice il dottissimo P. Domenico Soto: Certo certior sum, quin vero et certissimos credo semper fuisse sanctos Doctores, qui fuerint hoc nomine digni, neminem unquam a Deo fuisse derelictum, in hac mortali vita. E la ragione è chiara, perché se il peccatore fosse affatto abbandonato dalla Grazia, o non potrebbero essergli più imputati a colpa i suoi peccati, seguendo egli a peccare, oppure resterebbe obbligato a ciò che non può adempire; ma è regola indubitata di sant’Agostino, che non si pecca mai in ciò che non può evitarsi: Neminem peccare in eo quod nullo modo caveri potest. E ciò è secondo quel che dice l’Apostolo: Fidelis autem Deus est, qui non patietur vos tentari supra id quod potestis, sed faciet etiam cum tentatione proventum, ut possitis sustinere (1. Cor. 10. 13). Quel proventum s’intende l’aiuto Divino, che il Signore dà sempre ai Tentati per resistere alla tentazione, come spiega san Cipriano: Faciet cum tentatione facultatem evadendi. E più chiaramente Primasio: Illud faciet provenire, quod poterimus sustinere; id est in tentatione roborabit gratiae praesidio, quo possitis eam sustinere. Giungono a dire sant’Agostino, e san Tommaso, che Dio sarebbe iniquo e crudele, se obbligasse alcuno ad un precetto che non può osservare. Sant’Agostino dice: Peccati reum tenere quenquam, quia non fecit quod facere non potuit, summae iniquitatis est. E san Tommaso poi dice: Deus non est magis crudelis quam homo; sed homini imputatur ad crudelitatem, si obliget aliquem per praeceptum ad id quod implere non possit; ergo de Deo nullatenus est aestimandumba. Altrimenti poi dice il Santo è, quando ex ejus negligentia est, quod gratiam non habet, per quam potest servare mandata. Il che propriamente s’intende, quando l’Uomo trascura d’avvalersi della grazia remota della Preghiera, con cui ben può ottenere la prossima ad osservare il precetto secondo quel che insegna il Tridentino: Deus impossibilia non jubet, sed jubendo monet et facere quod possis, et petere quod non possis, et adjuvat ut possis (Sess. 6. cap. 13). Quel che poi ha detto sant’Agostino nel luogo citato, cioè che non v’è peccato in ciò che non può evitarsi, egli lo conferma in molti altri luoghi. In un luogo dice: Sive autem iniquitas, sive justitia, si in potestate non esset, nullum praemium, nulla poena justa esset. In altro dice: Si denique his abstinendi ab opere suo potestas nulla conceditur, nullum peccatum eorum tenere possumus. In altro dice: Dat quidem ille (Daemon) consilium, sed Deo auxiliante nostrum est eligere vel repudiare quod suggerit; et ideo cum per Dei adjutorium in potestate tua sit, quare non magis Deo, quam ipsi obtemperare deliberas? In altro luogo dice: Ex eo igitur quod o non accepit, nullus reus est. In altro: Nemo vituperatione dignus, qui id non facit, quod facere non potest. Lo stesso dicono san Girolamo: Nec ad virtutes, nec ad vitia necessitate trahimur; alioquin ubi necessitas est, nec damnatio, nec corona estbh. Tertulliano: Non enim poneretur lex ei, qui, non habet obsequium debitum legi in sua potestate. Marco Eremita: Occulta nobis opitulatur gratia;. verum in nobis situm est agere, vel non agere bonum pro potestate. Lo stesso dicono sant’Ireneo, san Cirillo Alessandrino, san Giovanni Grisostomo, ed altri. ...
Del gran mezzo della Preghiera
Del gran mezzo della Preghiera, Parte II. Preliminare, parte 10
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