Ma sino a quando s’ha da pregare? Sempre, risponde il medesimo Santo (San Giovanni Grisostomo), sino che riceviamo la sentenza favorevole della salute eterna, viene a dire sino alla morte: Non desistas (dice il Santo) donec accipias. E soggiunge che colui il quale dice: Io non lascerò di pregare fintanto che non mi salvo quegli certamente si salverà: Si dixeris, Nisi accepero non recedam, prorsus accipies. Scrive l’Apostolo, che molti corrono al pallio, ma quell’uno solamente lo riceve, che giunge a prenderlo: Nescitis quod ii qui in stadio currunt, omnes quidem currunt, sed unus accipit bravium? Sic currite, ut comprehendatis (1. Cor. 9. 24). Non basta dunque il pregare per salvarci, bisogna che preghiamo sempre, finché arriviamo a ricevere la corona che Dio promette, ma promette solamente a coloro che sono costanti a pregarlo sino alla fine. Sicché se vogliamo salvarci, dobbiamo fare come faceva Davide, che teneva sempre rivolti gli occhi al Signore, per implorare il Suo soccorso, e non restare vinto dai suoi Nemici. Oculi mei semper ad Dominum, quia ipse evellet de laqueo pedes meos (Psal. 24. 15). Siccome il Demonio non lascia di tenderci continue insidie per divorarci, secondo quanto scrive san Pietro: Adversarius vester diabolus, sicut leo rugiens, circuit quaerens quem devoret (l. Petr. 5. 8), così dobbiamo noi continuamente stare colle armi alla mano, per difenderci da un tale nemico, e dire col Profeta Regale: Persequar inimicos meos, et non convertar, donec deficiant (Psalm. 17. 4). Io non lascerò di combattere, finché non vedrò sconfitti i miei Avversari. Ma come potremo noi ottenere questa vittoria, così per noi importante, e così difficile? Perseverantissimis precibus, ci risponde sant’Agostino, solo colle preghiere, ma preghiere perseverantissime. E sino a quando? Sino a che durerà il combattimento. Sicut nunquam deficit pugna, dice san Bonaventura, sic nunquam cessemus petere misericordiam (Serm. 27. de Conf.). Siccome di continuo dobbiamo combattere, così di continuo dobbiamo cercare a Dio l’aiuto per non esser vinti. Guai, dice il Savio, a chi in questa battaglia lascia di pregare: Vae his qui perdiderunt sustinentiam (Eccli. 2. 16). Noi ci salveremo, ci avvisa l’Apostolo, ma con questa condizione: Si fiduciam, et gloriam spei usque ad finem retineamus (Hebr. 3. 6). Se saremo costanti a pregare con confidenza sino alla morte. Diciamo dunque collo stesso Apostolo, animati dalla Misericordia di Dio, e dalle sue Promesse: Quis ergo separabit nos a caritate Christi? tribulatio? an angustia?... an periculum? an persecutio? an gladius? (Rom. 8. 35). Chi avrà da dividerci dall’Amore di Gesù Cristo? Forse la tribolazione? Il pericolo di perdere i beni di questa Terra? Le persecuzioni dei Demoni, o degli Uomini? I tormenti dei Tiranni? In his omnibus superamus (ci fa animo san Paolo) propter eum qui dilexit nos (Ibid. v. 37). No (egli diceva) niuna tribolazione, niuna angustia, pericolo, persecuzione, o tormento potrà mai separarci dall’Amore di Gesù Cristo; perché vinceremo tutto col Divino aiuto, e combattendo per Amore di quel Signore che ha dato la vita per noi. Il P. Ippolito Durazzo in quel giorno in cui risolse di lasciar la Prelatura di Roma, e di darsi tutto a Dio, con entrare (come poi già fece) nella Compagnia di Gesù temendo della sua infedeltà per cagione della sua debolezza, diceva a Dio: Non me deseras; Signore, ora che mi son dato tutto a Voi, per pietà non mi abbandonate. Ma sentì dirsi da Dio nel suo cuore: tu non me deseras; più presto (gli diceva Iddio), Io dico a te che non mi lasci. E così finalmente il Servo di Dio confidato nella Divina Bontà, e nel suo aiuto, concluse dicendo: Dunque mio Dio, Voi non lascerete me, ed io non lascerò Voi. Se vogliamo in conclusione che Dio non ci lasci, non dobbiamo lasciar noi di pregarlo sempre a non abbandonarci. Facendo così, certamente Egli sempre ci assisterà, e non permetterà mai che lo perdiamo, e ci separiamo dal suo Amore. Ed a questo fine non solamente procuriamo di chiedere sempre la Perseveranza finale, e le grazie necessarie per ottenerla; ma cerchiamo nello stesso tempo anticipatamente sempre al Signore la grazia di seguire a pregare: che fu appunto quel gran dono, ch’Egli prometté ai suoi Eletti per bocca del Profeta: Et effundam super Domum David, et super habitatores Jerusalem spiritum gratiæ, et precum (Zach. 12. 10). Oh che grazia grande è lo Spirito delle Preci [delle Preghiere, ndR], cioè la grazia che Dio concede ad un’Anima di sempre pregare. Non lasciamo dunque di chiedere sempre a Dio questa grazia, e questo Spirito di sempre pregare; perché se pregheremo sempre, otterremo certamente dal Signore la Perseveranza, ed ogni altro dono che desideriamo, mentre non può mancare la Sua promessa di esaudire chi lo prega. Spe enim salvi facti sumus (Rom. 8. 24). Con questa speranza di sempre pregare, possiamo tenerci per salvi. Hujus nobis Urbis fducia latum praebebit ingressum. Questa speranza, diceva il venerabile Beda, ci darà l’entrata sicura nella Città del Paradiso.
Del gran mezzo della Preghiera
Del gran mezzo della preghiera. Della perseveranza richiesta nel pregare, parte 3 e ultima
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