Se mai un Padre ama teneramente un Figlio, ma lo tiene carcerato, affine di punirlo per qualche difetto commesso, il Figlio allora non è già in stato di pregare, ma perché non può egli pregare per gli altri? e non sperare di ottenere ciò che chiede, sapendo l’affetto che gli porta il Padre? Così essendo l’Anime del Purgatorio molto amate da Dio, e confermate in Grazia, non v’è impedimento che possa loro vietare di pregarlo per noi. La Chiesa per altro non suole invocarle, ed implorare la loro intercessione, perché ordinariamente elle non conoscono le nostre Orazioni. Ma piamente credesi (come si è detto) che il Signore faccia loro note le nostre preghiere, ed allora esse, che sono piene di carità, non lasciano certamente di pregare per noi. Santa Caterina da Bologna, allorché desiderava qualche grazia, ricorreva all’Anime del Purgatorio, e presto si vedeva esaudita anzi attestava, che molte grazie che non aveva ottenute per intercessione dei Santi, l’aveva poi conseguite per mezzo delle Anime del Purgatorio. Ma qui mi si permetta di fare una digressione a beneficio di quelle sante Anime. Se vogliamo noi il soccorso delle loro Orazioni, è bene che ancora noi attendiamo a soccorrerle colle nostre Orazioni, ed opere. Dissi è bene, ma anche deve dirsi esser questo uno de doveri Cristiani, poiché richiede la Carità, che noi sovveniamo il Prossimo quando il Prossimo sta in necessità del nostro aiuto, e noi possiamo aiutarlo senza grave incomodo. Ora è certo, che tra i nostri Prossimi sono ancora l’Anime del Purgatorio, le quali benché non siano più in questa vita, nulladimanco, non lasciano d’essere nella Comunione de Santi. Piorum Animae mortuorum, dice sant’Agostino, non separantur ab Ecclesia. E più distintamente lo dichiara san Tommaso a nostro proposito, dicendo che la carità, che devesi verso i Defunti, i quali sono passati all’altra vita in Grazia, è un’estensione di quella stessa Carità, che dobbiamo verso i nostri Prossimi viventi: Caritas quae est vinculum Ecclesiae membra uniens non solum ad vivos se exstendit sed etiam ad Mortuos qui in Caritate decedunt. Ond’è che noi dobbiamo soccorrere secondo quanto possiamo quelle sante Anime, come nostri Prossimi; ed essendo le loro necessità maggiori di quelle degli altri Prossimi, maggiore ancora per questo riguardo par che sia il nostro dovere di sovvenirle. Ora in quali necessità si ritrovano quelle sante Prigioniere? È certo che le loro pene sono immense. Il fuoco che le brucia, dice sant’Agostino, è più tormentoso di qualunque pena, che possa affliggere l’uomo in questa vita: Gravior erit ille ignis quam quodquod potest homo pati in hac vitaah. E lo stesso stima san Tommaso, aggiungendo esser quello il medesimo fuoco dell’inferno: Eodem igne torquetur Damnatus et purgatur Electusai. E ciò è in quanto alla pena del senso, ma assai più grande è poi la pena del danno, cioè la privazione della vista di Dio che affligge quelle sue sante Spose; mentre quell’Anime, non solo dal naturale, ma anche dal soprannaturale Amore, di cui ardono verso Dio, sono tirate con tal impeto ad unirsi col loro sommo Bene, che vedendosi poi impedite dalle loro colpe, provano una pena sì acerba, che se elleno fossero capaci di morte, morirebbero in ogni momento. Sicché, secondo quanto dice il Grisostomo, questa pena della privazione di Dio le tormenta immensamente più, che la pena del senso: Mille Inferni ignes simul uniti non darent tantam poenam, quanta est sola poena damni. Ond’è che quelle sante Spose vorrebbero patire tutte l’altre pene, che esser private d’un sol momento di quella sospirata unione con Dio. Dice pertanto il Maestro Angelico, che la pena del Purgatorio eccede ogni dolore, che può patirsi in questa vita: Oportet, quod poena Purgatorii excedat omnem poenam istius vitaeal. E riferisce Dionisio Cartusiano, che un certo defunto, e poi risorto per intercessione di san Girolamo, disse a san Cirillo Gerosolimitano, che tutti i tormenti di questa Terra sono sollievi e delizie, a rispetto della minor pena che v’è nel Purgatorio: Si omnia tormenta mundi minori, quae in Purgatorio habentur, poenae comparentur, solatia eruntam. E soggiunse, che se un Uomo avesse provato quelle pene, vorrebbe più presto soffrire tutt’i dolori di questa vita, che hanno patito gli Uomini sino al giorno del Giudizio, che patire per un giorno solo la minor pena del Purgatorio. Onde scrisse il nominato san Cirillo, che quelle pene in quanto all’asprezza sono le stesse, che quelle dell’inferno, in questo solo differiscono, che non sono eterne. ...
Della necessità della preghiera (Parte 5). Da Del gran mezzo della preghiera, sant’Alfonso Maria de’ Liguori. SS n° 5, p. 7 - 8