Fortes in Fide, don A. Bussinello, S.A.T., Vicenza, 1922. L’uomo. La prova. Il castigo. Con le parole «...e della terra», le ultime del primo articolo del Credo, noi professiamo che Iddio creò tutto quello che esiste su questa terra, compreso l’uomo. Tempo addietro, parlandovi della Creazione, vi dissi che Iddio trasse dal nulla tutto ciò che esiste, vi ho parlato dei sei giorni della creazione, vi ho detto che il Signore dopo aver creato stelle, terra, piante, erbe, fiori ed animali d’ogni specie, diede vita all’uomo e lo pose nel mondo, come re della creazione. Adamo ed Eva. È bello sentire come il Signore ha creato Adamo ed Eva, i nostri progenitori. Fino allora Iddio aveva creato tutti gli esseri con un atto della Sua volontà; per l’uomo invece, l’essere intelligente ed immortale, tenne un modo diverso. Le tre Persone della SS. Trinità dissero :«facciamo l’uomo ad immagine e somiglianza nostra» (Genesi, I, 26) ed ecco Iddio stesso che crea l’uomo di terra, gl’inspira il soffio di vita, l’anima spirituale, libera, immortale, e lo chiama Adamo, che vuol dire fatto di terra. E Adamo bello della somiglianza del Creatore, puro dell’immagine di Dio, s’avanza sovrano nel paradiso terrestre, unico essere intelligente e parlante tra le più svariate specie d’animali. Il suo corpo è perfettissimo e non soggetto al dolore, la sua anima, piena della grazia di Dio, è dotata di meravigliosa sapienza, e tra corpo ed anima esiste la più perfetta armonia. Tutto è soggetto all’uomo nel paradiso terrestre: gli uccelli lo salutano col loro canto, i fiori col loro profumo, e tanto il più piccolo insetto, come il più feroce animale, cercano servirlo. Eppure Adamo si sente solo... Ha passato tutte le specie d’animali, imponendo loro un nome, ha osservato tutte le meraviglie del creato, ma non ha trovato un suo simile. Lo vide Iddio, e: «non istà bene, disse, che l ‘uomo sia solo, facciamogli un aiuto simile a lui» (Gen., II, 18) e da una costola, levatagli dalla parte del cuore, formò Eva e la diede compagna ad Adamo. Eva vuol dire vita, e la chiamò così, dice la S. Scrittura, «perché ella era per esser la madre di tutti i viventi» (Gen., III, 20). Chi può dire la dolcezza provata dai nostri progenitori in quei primi giorni passati nello stato d’innocenza, senza contrasto di passioni, senza fomite di concupiscenza? Ma purtroppo la prova era vicina e con la prova, la caduta. La prova. Come aveva messo alla prova gli Angeli, così il Signore sottopose ad essa anche l’uomo, per vedere se a lui restava fedele. Fra le molte piante del paradiso terrestre ve ne era una detta l’albero della scienza del bene e del male. Iddio volle quest’albero come prova di obbedienza, imponendo ad Adamo ed Eva di non mangiare di quei frutti, sotto pena della morte. Era facile la prova, e sarebbe stata facilmente superata, se non ci fosse entrato, come sempre, lo zampino del tentatore, del diavolo. Sotto forma di serpente egli entrò nel paradiso terrestre, s’attorcigliò all’albero fatale, ed aspettò che Eva, da sola, passasse di là. Ce n’erano tanti degli alberi e dei frutti, ma no, che bisogna andare proprio a passeggiare là sotto! Ed ecco Eva che si dirige verso l’albero proibito, si ferma a parlare col tentatore; costui, bugiardo come sempre, le dà da intendere che se mangerà di quei frutti diventerà con suo marito simile a Dio. E l’incauta spicca di quei frutti e ne mangia, disobbedendo al Creatore. Non contenta, ne porta ad Adamo, ed anch’egli per compiacere alla moglie, pecca di disubbidienza grave verso Iddio. Il castigo. Come fu pronto il castigo per gli Angeli ribelli, così lo fu per Adamo ed Eva. Vennero cacciati dal paradiso terrestre, vennero condannati al male, al dolore, alla morte, e la terra non diede più frutto, se non bagnata dal sudore della loro fronte. Più ancora: tutti i loro discendenti sarebbero nati col peccato della disubbidienza, col peccato originale; quindi esclusi per sempre dalla felicità del Paradiso. Iddio però ebbe compassione dell’infelice umanità, ed ancor là nel paradiso terrestre ai nostri progenitori sfiduciati e colpevoli promise la riparazione: una donna, ingannata dal serpente d’inferno, aveva rovinata l’umanità, e un’altra Donna, la Vergine Santissima, avrebbe schiacciato il capo al serpente infernale. E dopo parecchi secoli la Vergine Immacolata diede al mondo N. S. Gesù Cristo, che venne a riscattarci dal peccato di Adamo, a redimerci con i suoi patimenti e col suo Sangue prezioso, a riaprirci il Paradiso. Egli istituì il S. Battesimo per cancellare in noi il peccato originale e farci tornare figli di Dio. Però non è più tornato lo stato di grazia e d’innocenza; è rimasta la natura corrotta con tutte le sue passioni che tentano sempre di trascinarci al male, sicché per salvarci è necessaria la lotta continua, è necessario vincere le tentazioni del diavolo e superare questa concupiscenza che portiamo con noi. Che colpa ne abbiamo noi? Ma perché, dirà qualcuno, dobbiamo noi sopportare la pena del peccato di Adamo? Che colpa ne abbiamo noi? Statemi attenti. Supponiamo che il Conte Albertini dicesse ad un suo dipendente: senti, io ti terrò sempre come figlio, ti darò una villa, grandi campagne, buoi, cavalli, se ubbidirai al mio volere. Costui invece disubbidisce, fa quello che gli piace, e viene quindi scacciato dal palazzo, perdendo quanto gli era stato promesso. Di chi la colpa? Sua. Se più tardi costui avesse dei figli, come nascerebbero costoro? Poveri. Eppure che colpa ne hanno essi della disubbidienza dei padri! Ancora. Supponiamo che un capo di famiglia avesse per eredità un gran patrimonio col quale potrebbe rendere ricchi tutti i suoi discendenti, ma egli lo dissipa malamente ed in pochi anni rimane sul lastrico. Egli commette un peccato del quale dovrà rispondere davanti a Dio, ma intanto quelli di casa sua ne risentono tutto il danno ed i suoi discendenti nasceranno nella miseria. Eppure che colpa ne hanno essi? Quanti figli, o giovani, devono soffrire per le colpe dei padri! Così è successo per la disubbidienza di Adamo: la colpa fu sua, ma tutti ne portiamo le conseguenze... Pratica. Vi ho narrato in breve la creazione dell’uomo e della donna e la loro caduta, ma da questo fatto semplice ed insieme terribile dobbiamo imparare come Dio castiga il peccato. Dolori, malattie, terremoti, inondazioni, guerre, mali d’ogni genere e la morte fino alla fine del mondo: e tutto questo non solo in Adamo ed Eva, ma in tutti i loro discendenti. Perché? Per un solo grave peccato di disubbidienza a Dio. E noi, o giovani, che commettiamo peccati ben più gravi, e non una sola volta, che cosa dobbiamo aspettarci dalla Giustizia del Signore? «È cosa terribile, dice la S. Scrittura, cadere nelle mani di Dio» (Agli Ebrei X, 31) col peccato mortale sull’anima. Un altro pensiero. Adamo peccò e non morì subito; così chi commette il peccato non va subito all’inferno perché Iddio non ha fretta, e, di solito, aspetta il peccatore a penitenza, ma tempo verrà... Pensiamoci!
De Fortes in Fide
Il Credo all’oratorio. L’uomo. La prova. Il castigo
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