Non è difficile stabilire quali sarebbero l’aspetto e la struttura di uno Stato che fosse governato sulla base dei principi cristiani. Il vivere in una società civile è insito nella natura stessa dell’uomo: e poiché egli non può, nell’isolamento, procurarsi né il vitto né il vestiario necessario alla vita, né raggiungere la perfezione intellettuale e morale, per disposizione provvidenziale nasce atto a congiungersi e a riunirsi con gli altri uomini, tanto nella società domestica quanto nella società civile, la quale sola può fornirgli tutto quanto basta perfettamente alla vita. E poiché non può reggersi alcuna società, senza qualcuno che sia a capo di tutti e che spinga ciascuno, con efficace e coerente impulso, verso un fine comune, ne consegue che alla convivenza civile è necessaria un’autorità che la governi: e questa, non diversamente dalla società, proviene dalla natura e perciò da Dio stesso. Ne consegue che il potere pubblico per se stesso non può provenire che da Dio. Solo Dio, infatti, è l’assoluto e supremo Signore delle cose, al quale tutto ciò che esiste deve sottostare e rendere onore: sicché chiunque sia investito del diritto d’imperio non lo riceve da altri se non da Dio, massimo Principe di tutti. Non v’è potere se non da Dio (Rm. 13,1). Il diritto d’imperio, poi, non è di per sé legato necessariamente ad alcuna particolare forma di governo: questo potrà a buon diritto assumere l’una o l’altra forma, purché effettivamente idonea all’utilità e al bene pubblico. Ma in qualsiasi tipo di Stato i prìncipi devono soprattutto tener fisso lo sguardo a Dio, sommo reggitore del mondo, e proporsi Lui quale modello e norma nel governo della comunità. Così come nelle cose visibili Dio creò le cause seconde perché vi si potessero scorgere in qualche modo la natura e l’azione divina, e perché indicassero il fine ultimo al quale sono dirette tutte le cose, allo stesso modo volle che nella società civile esistesse un potere sovrano, i cui depositari rimandassero in qualche modo l’immagine della potestà divina e della divina provvidenza sul genere umano. L’esercizio del potere deve quindi essere giusto, non da padrone, ma quasi paterno, poiché il potere di Dio sugli uomini è sommamente giusto e permeato di paterna benevolenza; deve essere esercitato in vista dell’utilità dei cittadini, poiché chi detiene il potere governa con quest’unico compito, di tutelare il bene dei cittadini. Né in alcun modo deve accadere che l’autorità civile serva l’interesse di uno o di pochi, una volta che è stata istituita per il bene comune. Ché se i governanti si abbandoneranno ad un ingiusto dominio, se peccheranno di durezza o di superbia, se non provvederanno adeguatamente al bene del popolo, sappiano che dovranno un giorno render ragione a Dio, e con tanta maggior severità, quanto più venerabile ufficio avranno ricoperto e più sublime dignità avranno conseguito. «I potenti saranno puniti duramente» (Sap. 6,7). In tal modo il rispetto dignitoso e spontaneo dei cittadini si assocerà alla maestà del comando. Una volta persuasi, infatti, che l’autorità di chi governa proviene da Dio, si convinceranno che è giusto e doveroso seguire i dettami dei Principi e tributare loro ossequio e fiducia con quella sorta di devozione che i figli devono ai genitori. «Ogni anima sia soggetta alle sublimi potestà» (Rm. 13,1). Spregiare il potere legittimo, in qualsiasi persona esso s’incarni, non è lecito più di quello che sia l’opporsi alla volontà divina: chi si oppone a questa, precipita in volontaria rovina. «Chi resiste all’autorità, resiste all’ordinamento divino; coloro che resisteranno si attireranno addosso la condanna» (Rm. 5,2). Pertanto, rifiutare l’obbedienza, e con la violenza popolare provocare sedizioni, è crimine di lesa maestà non solo umana ma anche divina. (Prosegue ...)