«Come dice san Gregorio, i vizi carnali, compresi sotto il nome d’intemperanza, sebbene siano di minore gravità, sono però più infamanti. Infatti la gravità della colpa si desume dal suo allontanamento dal fine: invece l’infamia si desume dalla turpitudine, che risulta specialmente dalla degradazione di chi pecca» (Summa Theologiæ, IIª-IIae, q. 142 a. 4 ad 1). «Il generalizzarsi di un peccato ne diminuisce la turpitudine e l’infamia nell’opinione degli uomini; ma non nella natura stessa del peccato» (Ivi., ad 2). «Quando si dice che l’intemperanza è il vizio più disonorante, s’intende tra i peccati umani, cioè nell’ambito delle passioni che in qualche modo sono conformi alla natura umana. Ma quei peccati che sorpassano i limiti della natura umana sono ancora più disonoranti. Tuttavia anche questi sembrano ridursi per eccesso al genere dell’intemperanza: il fatto, per esempio, di provare gusto nel mangiare carne umana, o nel coito bestiale od omosessuale» (Ivi., ad 3). «Il disonore si contrappone all’onore e alla gloria. Ora [...] è dovuto all’eccellenza; mentre la gloria implica lustro o distinzione. Perciò l’intemperanza è sommamente disonorante per due motivi. Primo, perché è la cosa più incompatibile con l’eccellenza, o grandezza dell’uomo: infatti essa ha per oggetto i piaceri comuni a noi e alle bestie, come sopra abbiamo notato. Di qui le parole dei Salmi: “L’uomo non ha compreso il proprio onore: si è messo alla pari dei giumenti irragionevoli e diviene simile ad essi”. - Secondo, perché essa ripugna al massimo alla distinzione e alla bellezza dell’uomo: poiché nei piaceri che sono oggetto dell’intemperanza la luce della ragione, da cui dipende tutto lo splendore e la bellezza della virtù, viene oscurata al massimo. Cosicché questi piaceri si dicono sommamente servili» (IIª-IIae, q. 142 a. 4 co). «Come già abbiamo notato, esiste una specie distinta di lussuria là dove si riscontra uno speciale disordine, che rende ripugnante l’atto venereo. E questo può avvenire in due maniere. Primo, perché ripugna alla retta ragione: il che si riscontra in tutti i peccati di lussuria. Secondo, perché oltre ciò ripugna allo stesso ordine naturale e fisiologico dell’atto venereo proprio della specie umana: e questo si chiama peccato, o vizio contro natura. Ciò può avvenire in più modi. Primo, quando senza nessun commercio carnale si procura la polluzione per il piacere venereo: e questo è il peccato di immondezza, che alcuni chiamano mollezza (o masturbazione). - Secondo, praticando la copula con esseri di altra specie: e questo si chiama bestialità. - Terzo, accoppiandosi con sesso indebito, cioè maschi con maschi e femmine con femmine, come accenna san Paolo scrivendo ai Romani: e questo è il vizio della sodomia. - Quarto, non osservando il modo naturale della copula; o non usando i debiti organi; o adoperando nell’atto altri modi mostruosi e bestiali» (IIª-IIae, q. 154 a. 11 co). «Il lussurioso non ha di mira la generazione, ma il piacere venereo: il quale si può ottenere anche senza gli atti da cui segue la generazione di un uomo. E questo è quanto si cerca nel vizio contro natura» (Ivi., ad 3). «Poiché nel vizio contro natura si trasgredisce ciò che è determinato per natura nell’uso dei piaceri venerei, ne segue che questo è il peccato più grave in tale materia. - Dopo viene l’incesto, il quale, come abbiamo detto, è contro la naturale riverenza dovuta ai propri congiunti» (IIª-IIae, q. 154 a. 12 co). «L’ordine della retta ragione deriva dall’uomo, ma l’ordine della natura deriva da Dio. Perciò nei peccati contro natura, nei quali si viola codesto ordine, si fa ingiuria a Dio stesso, ordinatore della natura. Scrive quindi sant’Agostino: “I peccati contro natura quali quelli dei Sodomiti, son sempre degni di detestazione e di castigo: e anche se fossero commessi da tutte le genti, queste sarebbero ree di uno stesso crimine di fronte alla legge di Dio, la quale non ammette che gli uomini si trattino in quel modo. Così infatti viene violato il vincolo di familiarità che deve esistere tra noi e Dio, profanando con la perversità della libidine la natura di cui egli è l’autore” (Ivi., ad 1).
Per approfondimenti studiare la Casti Connubii.