Ma ciò che soprattutto impedisce la restaurazione e la perfezione del matrimonio stabilito da Cristo Redentore, è, come avvertimmo, Venerabili Fratelli, la sempre crescente facilità dei divorzi. Anzi, gli odierni fautori del neopaganesimo, per nulla fatti saggi dall’esperienza, vanno sempre più acremente contestando la sacra indissolubilità del coniugio e le leggi che la sostengono, e affermano doversi dichiarare lecito il divorzio, e che una legge nuova e più umana venga a sostituire leggi antiquate e sorpassate. Essi presentano molte e varie ragioni per il divorzio; alcune provenienti da vizio o colpa delle persone, altre inerenti alle cose stesse (le une dicono soggettive, le altre oggettive); in una parola, tutto ciò che rende più aspra ed ingrata la indivisibile convivenza. Pretendono di dimostrare siffatte ragioni per molti capi: dapprima, per il bene di ambedue i coniugi, sia dell’innocente, il quale ha perciò il diritto di separarsi dal coniuge reo, sia del colpevole di delitti, che per questo appunto deve essere separato da una unione ingrata e coatta; poi, per il bene della prole, la quale resta priva della retta educazione, essendo troppo facilmente scandalizzata e allontanata dalla via della virtù per le discordie e altre colpe dei genitori; infine, per il bene comune della società, il quale richiede che anzitutto si sciolgano quei matrimoni che non valgono più ad ottenere il fine inteso dalla natura. Inoltre si permettano dalla legge i divorzi sia per prevenire quei delitti che si possono facilmente temere dalla convivenza di tali coniugi, sia per evitare che cadano sempre più in ludibrio i tribunali e l’autorità delle leggi, quando i coniugi, per ottenere la bramata sentenza di divorzio, o commettono a bella posta quei delitti per i quali il giudice può sciogliere il vincolo a norma di legge, o sfacciatamente mentiscono e spergiurano di averli commessi, nonostante il giudice veda chiaramente lo stato delle cose. Pertanto, essi dicono, le leggi devono in ogni modo conformarsi a tutte queste necessità, alle mutate condizioni dei tempi, alle opinioni degli uomini, alle istituzioni e ai costumi delle nazioni: tali motivi per sé soli, e massimamente se tutti insieme considerati, dimostrerebbero con evidenza che per determinate cause deve assolutamente concedersi la facoltà di divorzio. Altri, con più audacia, opinano che il matrimonio, come contratto meramente privato, deve essere lasciato al consenso e all’arbitrio privato dei due contraenti, come avviene negli altri contratti privati; e perciò sostengono che può essere sciolto per qualsiasi motivo. Senonché, contro tutte queste demenze, sta immobile, Venerabili Fratelli, la legge di Dio, da Cristo amplissimamente confermata, e che non può venire smossa da nessun decreto degli uomini, opinione di popoli o volontà di legislatori: «Quello che Dio ha congiunto, l’uomo non separi» [Matth., XIX, 6]. E se l’uomo ingiuriosamente tenta separarlo, il suo atto sarà del tutto nullo, e resta immutabile quanto Cristo apertamente affermò: «Chiunque rimanda la moglie e ne sposa un’altra, è adultero; e chi sposa la rimandata dal suo marito, è adultero» [Luc., XVI, 18]. E queste parole di Cristo riguardano qualsiasi matrimonio, anche quello soltanto naturale e legittimo, giacché ad ogni vero matrimonio spetta quella indissolubilità, per la quale esso è sottratto, quanto alla soluzione del vincolo, all’arbitrio delle parti e ad ogni potestà laicale. E qui deve pur essere ricordato il solenne giudizio con il quale il Concilio Tridentino condannò tali insanie di anatema: «Chiunque dice che il vincolo del matrimonio può essere sciolto dal coniuge, a causa di eresia o di molesta coabitazione o di pretesa assenza, sia anatema» [sess. XXIV, c. 5]; e inoltre «Chiunque dice che la Chiesa erra quando ha insegnato e insegna che, secondo la dottrina evangelica ed apostolica, non può essere disciolto il vincolo del matrimonio per l’adulterio di uno dei coniugi, e che nessuno dei due, neanche l’innocente che non diede motivo all’adulterio, può contrarre altro matrimonio, vivente l’altro coniuge, e che commette adulterio tanto colui il quale, ripudiata l’adultera, sposa un’altra, quanto colei che, abbandonato il marito, ne sposa un altro, sia anatema» [sess. XXIV, c. 7]. Se la Chiesa non errò né erra in questa sua dottrina, e perciò è del tutto certo che il vincolo del matrimonio non può essere sciolto neppure per l’adulterio, ne segue con evidenza che molto minor valore hanno tutti gli altri motivi di divorzio, di molto più deboli, che sogliono o possono allegarsi, e quindi non è da farne alcun conto. Del resto, le obiezioni che vengono mosse contro la saldezza del vincolo da quel triplice capo, sono di facile soluzione. Infatti, i danni ricordati vengono impediti e i pericoli rimossi, se in quelle estreme circostanze si permette la separazione imperfetta dei coniugi, rimanendo cioè intatto il vincolo; la quale separazione è consentita chiaramente dalla legge della Chiesa nelle chiare parole dei canoni che trattano della separazione del talamo, della mensa e dell’abitazione [Cod. iur. can., cc. 1128 sqq]. Lo stabilire poi le cause di tale separazione, le condizioni, il modo e le cautele onde si provveda all’educazione dei figli e all’incolumità della famiglia, e si rimuovano quanto è possibile i danni tutti derivanti ai coniugi, alla prole e alla stessa comunità civile, spetta alle leggi sacre e, almeno in parte, anche alle leggi civili, in quanto si attiene alle cose e agli effetti civili. Tutti gli argomenti, poi, che sogliono apportarsi e sopra abbiamo toccati, a dimostrare la indissolubilità del matrimonio, valgono chiaramente con uguale forza ad escludere non solamente la necessità ma anche ogni facoltà o concessione di divorzio. Inoltre quanti sono gli eccellenti vantaggi che militano per la indissolubilità, altrettanti all’opposto appaiono i danni del divorzio, e questi perniciosissimi sia agli individui sia a tutta l’umana convivenza. E, per valerCi di nuovo della dottrina del Nostro predecessore, è appena necessario osservare che quanta copia di beni in sé contiene la fermezza indissolubile del matrimonio, altrettanta messe di mali portano con sé i divorzi. Da una parte, con la fermezza del vincolo, i matrimoni sono pienamente sicuri; dall’altra invece, con la possibilità e anzi probabilità del divorzio, il legame nuziale diventa mutabile o almeno soggetto ad ansietà e sospetti. Da una parte vengono mirabilmente consolidate la mutua benevolenza e comunione di beni; dall’altra deplorevolmente indebolito il legame, per l’offerta facoltà di separarsi. Da una parte validi presidii alla fedeltà dei coniugi; dall’altra perniciosi incitamenti all’infedeltà. Dall’una la procreazione, protezione ed educazione dei figli efficacemente promosse; dall’altra la prole esposta ai più gravi danni. Da una parte chiuso l’adito molteplice alle discordie tra le famiglie e i parenti; dall’altra se ne presenta più frequente l’occasione. Dall’una più facilmente sopiti i germi di dissenso; dall’altra più copiosamente e largamente diffusi. Dall’una massimamente reintegrati e felicemente restaurati la dignità e l’ufficio della donna nella famiglia e nella società; dall’altra indegnamente depressa, esposta com’è la sposa al pericolo di «venire abbandonata dopo aver servito alla passione dell’uomo» [Leo XIII, litt. Encycl. Arcanum, 10 Febr. 1880]. E poiché a distruggere le famiglie - per concludere con le gravissime parole di Leone XIII - «e ad abbattere la potenza dei regni niente ha maggior forza che la corruzione dei costumi, è agevole conoscere che alla prosperità delle famiglie e delle nazioni sono funestissimi i divorzi, i quali nascono da depravate consuetudini, e come ne attesta l’esperienza, aprono l’adito ad una sempre maggiore corruttela del pubblico e privato costume. E questi mali appariranno anche più gravi se si considera che non vi sarà mai alcun freno così potente che valga a contenere entro certi e prestabiliti confini la licenza una volta concessa ai divorzi. È grande la forza degli esempi, maggiore quella delle passioni; per tali eccitamenti avverrà certo che la sfrenata voglia dei divorzi, serpeggiando ogni dì più largamente, invada l’animo di moltissimi, a guisa di morbo che si sparge per contagio, o come torrente che, rotti i ripari, trabocca» [Litt. Encycl. Arcanum, 10 Febr. 1880]. Perciò, come nell’Enciclica stessa si legge, «ove non si muti consiglio, le famiglie e la società umana dovranno stare in perpetuo timore di essere travolte nel rivolgimento e nello scompiglio di tutte le cose» [Litt. Encycl. Arcanum, 10 Febr. 1880]. Orbene, la corruzione ogni giorno crescente e l’incredibile depravazione della famiglia nelle regioni pienamente dominate dal comunismo, ben dimostrano con quanta verità tutto ciò sia stato preannunciato cinquant’anni addietro.
Pio XI, «Casti Connubii» al n° 2: contro il divorzio
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